Recensione Men in Black 3 (2012)

J deve tornare al 1969 per salvare la vita all'inossidabile compagno K: il supercriminale Boris l'Animale ha infatti ordito una sofisticata vendetta ai suoi danni, cancellandolo di fatto dalla faccia della Terra.

Ritorno al futuro degli uomini in nero

L'esistenza degli alieni, nonché soprattutto la loro presenza qui, sulla Terra, spiegherebbe molte cose. Non soltanto gli avvistamenti, i racconti di chi sostiene di essere stato rapito dagli U.F.O., i cerchi nel grano. No, alcune persone sono semplicemente troppo belle, troppo talentuose, o troppo cattive per essere umane. Per non parlare delle modelle che, come ha dovuto scoprire J a sue spese, sono senza possibilità di errore sempre aliene. Ecco svelato, quindi, il perché di tanti esseri eccezionali tra di noi. E, se la mescolanza è comunque sempre fonte di arricchimento, male non fa tenere sotto controllo i flussi in entrata e in uscita degli extraterrestri, onde mettersi al riparo da qualsiasi aspirazione egemonica intergalattica, o più banalmente dalla distruzione totale. E' qui che intervengono i Men in Black, monitorando e ripulendo ove necessario, e poi sparaflashandoo i terrestri testimoni: perché si sa, l'ignoranza è una benedizione, quando la conoscenza può farti molto male.

Nel 1997 abbiamo assistito al reclutamento di J, all'inizio del suo sodalizio, affettivo e professionale, con il veterano K, e l'idea che la nostra sicurezza fosse affidata a un manipolo di uomini come loro, efficienti, di mente aperta, e che soprattutto sapevano prendere con il giusto spirito il proprio lavoro, non ci è dispiaciuta affatto. Dopo quindici anni, J e K sono ancora lì, ancora in coppia a monitorare, ripulire e sparaflashare, anche se il loro capo, Z, è appena morto, e K non ha certo onorato la sua memoria con un elogio funebre pregno di un qualsivoglia trasporto emotivo. E' proprio questa freddezza a suscitare le ire di J, che ambisce a un K più umano, anche soltanto un pochino: ma è sempre meglio un K imperscrutabile e distaccato che un K inesistente, che è poi la prospettiva di fronte alla quale il nostro protagonista si ritrova, al risveglio dalla loro ennesima discussione. Apparentemente, K è morto quarant'anni prima, nel tentativo (riuscito) di impedire l'attacco alla Terra del supercriminale Boris l'Animale. Dopo l'iniziale smarrimento, J e il nuovo capo, la granitica ma a suo modo spiritosa O, giungono a un'inevitabile conclusione: Boris, evaso dalla prigione in cui K l'aveva rinchiuso nella dimensione spaziotemporale a noi nota, è tornato indietro nel tempo, per uccidere K e impedirgli di catturarlo (nonché mutilarlo). A questo punto, l'unico modo in cui J può mettere a posto le cose e resuscitare l'amico è tornare nel 1969 e salvarlo, ma senza impedirgli di sventare il piano di Boris, o sarà la Terra intera a farne le spese.

La prospettiva di un viaggio nel tempo è sempre sfiziosa e dotata di grande appeal nei confronti dello spettatore: qui, sorvolando qualsiasi problematica legata a paradossi e questioni logistiche, il regista Barry Sonnenfeld, coerentemente di nuovo al comando delle operazioni, sfrutta l'occasione non soltanto per viaggiare nel passato della Terra, ma soprattutto per indagare le origini del rapporto tra i due protagonisti storici della saga, per scoprire ciò che ha portato K a essere quello che è e a scegliere come compagno uno come J, caratterialmente ai propri antipodi. Men in Black 3 è ovviamente e prima di tutto una commedia: c'è l'azione, c'è l'umorismo, si ride e ci si lascia coinvolgere volentieri dagli imprevedibili combattimenti interspecie. Ma in questo caso lo sceneggiatore Etan Cohen è stato anche bravo nel lasciare il giusto spazio all'interiorità dei protagonisti, in modo da far trasparire, senza forzature o facili espedienti, la natura del loro legame. Importantissima in questo senso, e azzeccata, è stata anche la scelta di Josh Brolin per il ruolo del giovane agente K. Mantenendosi lontano da atteggiamenti caricaturali, l'attore è riuscito a dare un senso di continuità tra il proprio personaggio e il suo se stesso invecchiato e provato dall'esperienza: nella sua interpretazione sono già identificabili molti dei segni distintivi del K che già conosciamo, ben amalgamati nella personalità decisamente più aperta e gioviale dell'agente degli inizi. In virtù di questo, anche nella New York del passato, ottimamente ricostruita sia nell'architettura sia nell'atmosfera, la coppia J e K, che è poi uno dei punti di forza della saga, continua a funzionare, seppur con i dovuti aggiustamenti imposti dai nuovi equilibri del duo, nel quale è spesso J a risultare il più inquadrato e intransigente. Ben caratterizzati sono anche il cattivo di turno, dal character design ancora più accattivante ed estremo rispetto a quanto l'operato di Rick Baker ci avesse già già abituati, e l'ermetico ma saggio alieno Griffin, così come decisamente ispirata si rivela essere l'inserzione di Andy Warhol (o almeno, di colui che il mondo conosce come tale) nell'avventura dei protagonisti.

Con l'eccezione di un 3d praticamente ininfluente, le cui potenzialità rimangono quasi del tutto inesplorate proprio in un contesto i cui le occasioni per osare con la creatività non mancavano, Men in Black 3 è un film che mantiene le proprie promesse. L'umorismo e la leggerezza che avevamo apprezzato nel primo episodio, e che non erano riusciti ad esprimersi in maniera altrettanto convincente nel secondo, ritornano qui ad animare una storia che non ha bisogno di essere originale a tutti i costi per dire quello che deve dire.

Movieplayer.it

3.0/5