Recensione Margin Call (2011)

Margin Call è una pellicola nervosa e coinvolgente, a tratti spietata, che affronta un tema scottante come quello del crack economico del 2008 fugando ogni possibile rischio di noia grazie alla scelta di puntare tutto sulla struttura corale.

Rischio calcolato

Non è difficile capire come la sceneggiatura di Margin Call si sia piazzata al settimo posto della Black List hollywoodiana dello scorso anno. Quello di Margin Call è esattamente il tipo di script arguto e pieno di ritmo che fotografa un fatto di cronaca contemporaneo senza subire il filtro buonista e vagamente censorio delle majors. La pellicola, scritta e diretta dall'esordiente J.C. Chandor, ha attirato l'attenzione di Zachary Quinto, attore emergente grazie al ruolo di Spock nel remake di Star Trek che, con la sua Before the Door Pictures, sta muovendo i primi passi nel mondo della produzione. Da qui ad attrarre un cast di grandissimi nomi il passo è stato breve. Insperabilmente Chandor si è trovato a dirigere star del calibro di Kevin Spacey, Jeremy Irons, Demi Moore e Paul Bettany in un thriller serrato liberamente ispirato alle prime fasi della crisi finanziaria e, in particolare, al fallimento di Lehman Brothers.


A differenza di The Company Men e del coinvolgente Tra le nuvole, entrambi focalizzati sul lato umano della crisi incarnato dal privato dei tagliatori di teste e dei dipendenti oggetto delle loro attenzioni che tentano di rifarsi una vita dopo il licenziamento, Margin Call fotografa gli attori del sistema economico nel pieno delle loro mansioni. Il film si svolge dell'arco di ventiquattro ore all'interno degli uffici di un'asettica investiment bank newyorkese. La storia prende il via con il licenziamento del solerte Eric Dale, capo del risk management interpretato da un convincente Stanley Tucci il quale, dopo aver intuito che la spregiudicata politica d'investimento della banca ne ha messo a repentaglio la stessa sopravvivenza, sta raccogliendo dati per poter comprovare la sua teoria. A ultimare il suo lavoro sarà il più fedele tra i suoi subalterni, l'acuto Peter Sullivan (Zachary Quinto), il quale mette in moto un meccanismo che costringerà i suoi superiori a decidere le sorti dell'azienda nel corso della nottata.

L'esordio di J.C. Chandor è di quelli col botto. Margin Call è una pellicola nervosa e coinvolgente, a tratti spietata, che affronta un tema scottante come quello del crack economico del 2008 fugando ogni possibile rischio di noia grazie alla scelta di puntare tutto sulla struttura corale. La macchina da presa non si scolla neanche per un instante dai volti e dai corpi degli straordinari interpreti, passando instancabilmente dall'uno all'altro. Difficile identificare, all'interno del film, un protagonista vero e proprio. In termini di spazio, a rubare la scena, soprattutto nella parte del film, sono Zachary Quinto, motore dell'azione, e Paul Bettany nei panni del suo supervisore, rampante manager privo di scrupoli. L'attore inglese fornisce una delle migliori performance della sua carriera modificando alla perfezione accento e modi in un ruolo che pare scritto su misura per lui. Non è da meno Kevin Spacey, invecchiato e appesantito ad hoc per calarsi nei panni del dirigente di mezza età dal volto umano ancora capace di indignarsi di fronte al comportamento spregiudicato dei capi della banca. Vagamente gigioneggiante e sopra le righe l'interpretazione di Jeremy Irons, il quale compare in un breve cameo nei panni del superboss della banca responsabile della disastrosa speculazione. Oltre a Stanley Tucci e Demi Moore, appaiono in ruoli minori anche uno spietato Simon Baker e Aasif Mandvi.
Nonostante Margin Call risulti una pellicola tutt'altro che perfetta, J.C. Chandor schiva l'insidia principale contenuta nel suo script che a tratti tende a rappresentare l'universo finanziario con tono eccessivamente parodistico. La sapiente gestione dell'equilibro tra humor e dramma permette di apprezzare anche scene in cui serpeggia una notevole tensione ironica come il surreale dialogo in ascensore in cui Demi Moore e Simon Baker si confrontano di fronte a un'impassibile donna delle pulizie ispanica e la ferocissima rappresentazione dell'ignoranza dei dirigenti che giocano col denaro e con le vite dei loro investitori unicamente in nome dell'avidità. Al riguardo è affidata a Jeremy Irons la battuta più bella del film nel momento in cui invita Zachary Quinto a illustrare la situazione creatasi nella banca "come se stesse parlando a un bambino... o a un golden retriever". A giudicare dalla fine che ha fatto il denaro di molti investitori nella realtà, tutto sommato Chandor si è dimostrato fin troppo indulgente.

Movieplayer.it

4.0/5