Recensione Viva l'Italia (2012)

Narratore ed insieme contestatore di un cancro sociale difficile da estirpare ma non invincibile, Bruno si butta anima e corpo in una campagna di sensibilizzazione in vista delle prossime elezioni politiche che sono, a suo parere, l'unico mezzo che abbiamo per cambiare veramente quello che non ci piace di questo Paese.

Se l'Italia è questa qua, come patria non ci va

Politici ammanicati, lobby finanziarie, raccomandati, mazzette, corruzione, scandali sessuali, precariato, immoralità, scontri di piazza, aziende e famiglie in fallimento, istruzione e sanità da terzo mondo, menefreghismo imperante, giovani disillusi che non possono pensare al loro futuro. Ma dove sono finiti i santi, i poeti e i navigatori? Dov'è finita l'Italia di Pertini e Berlinguer? Dov'è finita la Repubblica democratica fondata sul lavoro la cui sovranità appartiene al popolo, che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, il diritto al lavoro ed in cui tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge? Perché i politici non ci coinvolgono nella vita del Paese dicendoci una volta per tutte la verità sullo stato delle cose? Queste le domande, pertinenti ed incalzanti come un martello sull'incudine, che Massimiliano Bruno si pone e ci pone in Viva l'Italia, il suo secondo film da regista che rispetto al precedente calca molto di più la mano sul grottesco e sulla supercafonaggine di certi politici, facendo ridere di gusto ma senza fare sconti a nessuno.


Una randellata al cinema 'cieco e sordo' delle commediole sentimentali che affollano le sale in questo periodo, questo in parole spicciole è Viva l'Italia, una commedia inevitabilmente grezza nei personaggi e nelle situazioni, d'altronde la realtà lo è infinitamente di più, ma dotata di una cattiveria positiva, sofisticata nella narrazione e nella caratterizzazione dei personaggi che rappresentano, anche grazie alla bravura di un cast davvero in forma, un campionario assortito di uomini e donne sconfitti ed umiliati dalla vita che hanno smesso di credere che una società migliore è ancora possibile, che hanno anche smesso di credere nelle loro capacità intellettive e da molto tempo di lottare contro un sistema incancrenito che non lascia spazio alla meritocrazia e alla legalità.

Un film che ti arriva addosso come una valanga di fango, che ti picchia con un pugno nello stomaco e non ti lascia alternative: non puoi sfuggire alla realtà che Bruno ti pone dinanzi agli occhi, e non puoi sfuggire neanche alle risate, fragorose e amare come caramelle all'olio di ricino. La verità fa male ma è un valore imprescindibile e prezioso che non può essere calpestato e fa male, in questo momento, anche un certo cinema, immobile e anestetizzato, che si limita a far ridere canzonando ma senza offrire a chi guarda una speranza o un punto di vista diverso sulla situazione drammatica in cui ci troviamo. E il dramma vero è che noi italiani siamo costretti ad andare in sala e pagare un biglietto per trovare un po' di conforto e qualche rassicurazione sul futuro che ci attende dietro l'angolo. Il ritratto dell'Italia che abbiamo ereditato da decenni di malgoverno e di mala gestione da parte della classe dirigente è sì spietato, ma si avvicina solo alla realtà, e la approssima per difetto.
Massimiliano Bruno, per fortuna, salva poco o nulla di questa nostra povera Italia, e lo fa definendo la Costituzione, letta con gli occhi di un italiano moderno, come "un capolavoro di fantasia e umorismo". Come dargli torto dopo gli scandali berlusconiani, dopo il calcio scommesse, i crolli finanziari, i licenziamenti e il fallimento di migliaia di aziende, gli scontri di piazza, gli scioperi dei lavoratori, i terremoti veri e metaforici che hanno messo in ginocchio una parte del Paese. Bruno non ha paura di schierarsi e se ne frega di quelli che lo accusano di strumentalizzare l'attualità a suo favore, il Max nazionale è quello che è sempre stato, uno che non la manda a dire, che è abituato a ribellarsi e qualche volta a fare la voce grossa ma è anche uno che è abituato a ridere, a far ridere e a buttarla sul ridere sempre e comunque, anche quando da ridere non ci sarebbe proprio niente. Narratore ed insieme contestatore di un cancro sociale difficile da estirpare ma non invincibile, Bruno si butta anima e corpo, e con una buona dose di coraggio, in una campagna di sensibilizzazione in vista delle prossime elezioni politiche che sono, a suo parere, l'unico mezzo che abbiamo per cambiare veramente quello che non ci piace di questo Paese. La verità è talvolta dura da accettare e fa anche molto male, ma fa più male l'immobilismo culturale e morale di un cinema che da troppo tempo non fa niente per smuovere coscienze e animi, un cinema che grazie a Bruno e a Silvio Soldini, in sala con Il comandante e la cicogna, si sta riappropriando dei suoi spazi.
Un tema difficile da trattare quello del decadimento morale ed etico che dilaga in maniera trasversale ed indipendentemente dalla condizione sociale ma che, grazie alla sceneggiatura scritta con piglio quasi documentaristico da Bruno e Falcone ed alla bravura degli attori, in Viva l'Italia scorre sul grande schermo come un irresistibile carosello di malcostumi e nefandezze uniche nella loro tragicomicità, capaci di strappare una vagonata di risate ed anche qualche momento di pura commozione. Provate per un momento a pensare ad un politico, ad uno qualsiasi di quelli che vediamo nei TG e nei talk-show, e provate ad immaginare cosa accadrebbe se da un momento all'altro costui fosse colpito da un disturbo neurologico che gli impedisce di trattenere la verità su qualunque argomento. Nel film succede a Michele Spagnolo, un Michele Placido al top della sua carriera, uno di quei politici che se la canta e se la suona da decenni, uno di quelli che ha sistemato, o ha tentato di sistemare, i tre figli che grazie alla sua influenza hanno ereditato sì un lavoro ma soprattutto l'ignobile etichetta di raccomandati. Ma sarà proprio grazie a questa patologia, che potrebbe anche essere l'ennesima messa in scena di Spagnolo per scrollarsi di dosso il suo ingombrante senso di colpa, che Michele riuscirà ad avere per la prima volta un dialogo diretto e schietto con i figli e con la moglie che ha tradito centinaia di volte e che ammetterà di non aver mai amato. Un politico che per anni è stato immune agli scandali e che viene raccontato in maniera pregevole da Bruno soprattutto in una scena, quella emblematica in cui Placido, per la prima volta disorientato e in balìa degli eventi, si ritrova in pigiama al centro di una violenta carica della polizia nei confronti di un gruppo di manifestanti. Il ralenti del suo incedere lento e inconsapevole tra i manganelli e i sassi con il sottofondo struggente cantato da Mino Reitano alla nostra Italia è un momento di cinema da togliere il fiato. Uno degli amarissimi momenti di un film che, come nella tradizione della migliore commedia all'italiana, vengono incastonati in maniera straordinariamente efficace in un contesto che vuole soprattutto far ridere ma non senza regalare uno spiraglio di luce alla fine del tunnel. Forse aveva ragione lui, Reitano, forse il sole è nato veramente qui, in quest'Italia che profuma di oleandri e di perché.

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4.0/5