Recensione Paradiso amaro (2011)

Senza mai perdere di vista il registro comico, Payne disegna un ritratto familiare assolutamente fuori dal comune che racchiude una riflessione dolorosa e autentica sull'amore, sull'attaccamento alla terra, al denaro e al proprio passato, ma anche una profonda meditazione sulle responsabilità e sull'onestà morale.

Il paradiso non è più qui

Ad alcuni autori bastano pochi film per dimostrare di che pasta sono fatti. Nel caso di Alexander Payne avremmo potuto anche fermarci a tre. Dopo l'esordio alla regia nel 1996 con il coraggioso dramma La storia di Ruth - Donna americana, film sul tema dell'aborto con Laura Dern, e l'uscita di Election nel 1999, commedia nera intrisa di satira sociale con Matthew Broderick e Reese Whiterspoon, Payne aveva già fatto capire il suo talento nel raccontare l'umanità più umana, le debolezze della gente comune, nel combattere il bigottismo e l'arrivismo della società americana smascherando con leggerezza e sincerità una società che ha perso di vista i valori morali che sono alla base del mondo civilizzato. Con A proposito di Schmidt e Sideways, Payne ha definitivamente dimostrato il suo talento, sfornando due ritratti tra il comico e il tragico chegli sono valsi un premio Oscar per la sceneggiatura e numerose nomination, comprese quelle a Jack Nicholson per la sua interpretazione nei panni di un anziano assicuratore in pensione, un antieroe burbero e cinico ancora alla ricerca di sé e a Paul Giamatti (attore fino a quel momento attore pressoché sconosciuto) straordinario nei panni dell'intellettuale fallito e deluso sentimentalmente che insieme al suo migliore amico si perde nelle assolate colline californiane alla ricerca della felicità perduta. In questo suo quinto lungometraggio Paradiso amaro, Payne continua questo suo cammino alla scoperta dell'animo umano e delle sue tante risorse. Ancora una volta si diverte a mettere con le spalle al muro un uomo in difficoltà che si è smarrito, ponendolo di fronte alla consapevolezza delle sue potenzialità, alle sue sconfitte ed ai suoi tanti errori. Proprio come aveva fatto nei film precedenti con Broderick, Nicholson e Giamatti, Payne ha preso per mano un attore di grande classe come George Clooney e lo ha trascinato in un universo malinconico intriso di ironia e di realismo offrendogli la rara possibilità di cambiare toni, genere e timbro attoriale per calarsi in un personaggio del tutto nuovo per lui, pieno di sorprese e di sfumature.


La storia stavolta è fortemente ancorata al luogo in cui è ambientata, un luogo esotico e fortemente evocativo mostrato con occhio discreto ed assolutamente privo di ammiccamenti da cartolina: le Hawaii. Matt King è un avvocato, uno degli uomini più facoltosi dell'intero arcipelago, discendente di una delle famiglie reali hawaiiane più antiche. Unico fiduciario testamentario con potere di decisione sulle sorti di una delle spiagge tropicali più belle dell'arcipelago ereditata dai suoi avi, Matt è in trattative insieme ad una decina di cugini mercenari per la vendita della terra. Padre e marito distratto, Matt si ritrova ad un certo punto a dover affrontare una tragedia familiare molto dolorosa. Dovrà infatti badare per la prima volta nella sua vita alle sue due figlie per via di un incidente in barca che ha ridotto la moglie, appassionata di sport estremi, in un coma irreversibile. A fargli perdere definitivamente la bussola sarà la scoperta del tradimento della moglie, che aveva intenzione di lasciarlo perchè innamorata di un importante immobiliarista della zona. Combattuto tra venali faide patrimoniali e la sua precaria situazione psicologica e familiare, Matt sarà costretto a riesaminare il suo passato e a doversi reinventare un futuro, ma solo dopo aver risolto una volta per tutte le questioni rimaste in sospeso.

Tante le emozioni, tante le sfumature emotive e tante le vicende legate a doppio filo l'una all'altra raccontate in questo dramma intriso di ironia e tragicità che Alexander Payne con la sua grazia e la sua straordinaria lucidità riesce a trasformare in qualcosa di magico. Il dolore, la sofferenza, il rancore e molto più semplicemente l'amore sono narrati in The Descendants in tutta la loro complessità e in tutte le loro manifestazioni attraverso personaggi di grande spessore umano, vitali e mai sopra le righe nonostante alcune situazioni un po' fuori dall'ordinario.
Senza mai perdere di vista il registro comico, Payne disegna un ritratto familiare assolutamente fuori dal comune che racchiude una riflessione dolorosa e autentica sull'amore, sull'attaccamento alla terra, al denaro e al proprio passato, ma anche una profonda meditazione sulle responsabilità e sull'onestà morale.
Tratto dal romanzo di Kaui Hart Hemmings, Eredi di un mondo sbagliato, The Descendants racconta di un arcipelago di solitudini familiari, isolotti che fluttuano e solo visti dall'alto sembrano vicini, in realtà man mano che ci si avvicina con lo sguardo si percepisce come si stiano lentamente allontanando l'uno dall'altro per ottenere la propria indipendenza, esattamente come le terre incantevoli delle Hawaii.
Un'altra straordinaria prova autoriale per Alexander Payne, supportata dalla performance convincente e toccante di un George Clooney in stato di grazia che, sebbene trattenuto nei toni, lascerà un segno indelebile nel cuore degli spettatori e nella sua carriera di attore. Un film destinato a lasciare il segno, una commedia delicata di rara bellezza, pervasa da suggestioni ancestrali che trasformano la dimensione turistica di quei luoghi paradisiaci in uno stravagante rifugio dell'anima, un habitat accogliente, rassicurante e molto speciale.

Movieplayer.it

4.0/5