Recensione Sta per piovere (2013)

Mentre la politica e la cronaca s'interrogano sulle modalità con cui regolare i nuovi flussi d'immigrazione, il grande schermo porta la questione in avanti con il film Sta per piovere di Haider Rashid, accendendo i riflettori sulle difficoltà di ordine pratico, e non solo, vissute dai così detti italiani di seconda generazione.

I figli di nessuno

Secondo alcune teorie anche ben comprovate, il cinema è in grado di trasformarsi spesso in specchio della nostra realtà sociale, registrandone cambiamenti ed evoluzioni. In alcuni casi, però, può accadere che il linguaggio visivo riesca addirittura a muoversi con netto anticipo, mettendo in evidenza problematiche e fenomeni che ancora non hanno guadagnato l'attenzione pubblica. E' così che, mentre la politica e la cronaca s'interrogano sulle modalità con cui regolare i nuovi flussi d'immigrazione, il grande schermo porta la questione in avanti con il film Sta per piovere di Haider Rashid, accendendo i riflettori sulle difficoltà di ordine pratico e non solo vissute dai così detti italiani di seconda generazione. Si tratta di una comunità sempre più numerosa formata da giovani e giovanissimi che, pur essendo figli di stranieri, sono nati e cresciuti sul suolo italico riconoscendosi pienamente nella sua cultura. Un'appartenenza, però, che lo stato sembra non conferire con altrettanto ardore, caratterizzando il loro cammino quotidiano di difficoltà burocratiche e limiti di ordine razziale. Il risultato è la definizione di un limbo in cui l'identità di questa generazione si trova divisa a metà tra l'identificazione con un paese d'origine praticamente sconosciuto e il rifiuto da parte di quello cui si appartiene per semplice diritto di nascita.


Dai limiti profondi di una società che ancora rifiuta ostinatamente di riconoscere il multiculturalismo, nasce dunque la vicenda di Said, giovane dal nome esotico ma dall'animo italiano. Figlio di immigrati algerini, il suo volto è quello di un ragazzo qualsiasi che, diviso tra un lavoro part time e gli studi d'ingegneria, con chiaro accento fiorentino è pronto a sostenere gli azzurri durante gli europei e a parlare d'amore con la sua fidanzata. Eppure, nonostante sia Toscano nel cuore e nel certificato di nascita, lo Stato lo obbliga ad una condizione di illegittimo fino a quando, a causa della crisi economica, il padre entra in cassa integrazione e con questa arriva anche il rifiuto al rinnovo del permesso di soggiorno per tutta la famiglia. A quel punto, espulso, indesiderato da un paese che non sembra ricambiare la sua dedizione, Said si trova diviso all'interno di domande che sembrano non avere risposte. A chi appartengo? Quale luogo può essere considerato casa? Interrogativi che hanno tutta la crudezza di una verità vissuta e sperimentata in prima persona proprio dal regista il quale, per metà iracheno e per l'altra italiano, conosce certo non per sentito dire la condizione della seconda generazione d'invisibili. E, proprio in virtù di questa esperienza, il suo cinema si spoglia di qualsiasi abbellimento formale per mettersi al servizio della storia e, in modo particolare, dell'umanità che ne è interprete.

In questo modo lo sguardo di Rashid e, di conseguenza, quello dello spettatore, è catalizzato sul volto e sulle azioni di Lorenzo Baglioni, un protagonista dal volto riconoscibile in molti altri, destinato però ad un'analisi sociale e personale eccezionale per la sua importanza. Nella gestione di questo primo piano strettissimo, allo stesso tempo visivo ed emotivo, la definizione fisica dell'ambiente che lo circonda è sfumata e determinata quasi esclusivamente dalla sua costruzione culturale che, dal linguaggio alle abitudini quotidiane, racconta la normalità di un ragazzo italiano, nonostante ci sia un nome "straniero" a dire il contrario. In questo modo, non cedendo alla tentazione di interventi esterni, il regista riesce a mantenere con chiarezza e drammaticità la centralità della tematica senza infarcirla d'inutili sensazionalismi o sensi di colpa dalle proporzioni nazionali. Anzi, l'efficacia di questo film, nonostante alcune imperfezioni estetiche e delle ingenuità nella costruzione narrativa, è di voler proprio mettere sul piano del confronto e della discussione una problematica che non dovrebbe più essere negata.Tanto per dimostrare che, nel cinema e con il cinema, a volte è possibile arrivare ad una formula perfetta in cui impegno e passione artistica riescono a fondersi per mettere un paese intero di fronte alla responsabilità di un progresso culturale innegabile e inarrestabile.

Movieplayer.it

3.0/5