Recensione Something Good (2013)

Luca Barbareschi produce, dirige e interpreta un film che, sullo sfondo del tema scabroso della food security e delle sofisticazioni alimentari, è infine soprattutto un thriller e una storia d'amore: una redemption story all'americana, un raro esempio di film italiano internazionale per di più di genere, girato in inglese e cinese, ambientato ad Hong Kong, con un ottimo cast internazionale e soprattutto delle collaborazioni d'eccellenza.

Hong Kong redemption

How many you can trust? Di quanti e soprattutto di chi ti puoi fidare? Questa la scritta che compare sullo schermo ancora prima dei titoli di testa; a ricordarci che la fiducia è forse il tema portante di questo Something Good di Luca Barbareschi, anche interprete di questo film che rappresenta un raro e piuttosto riuscito esempio di film di genere italiano: un thriller e una love story, ancora prima che un film di denuncia e di attualità sul tema scabroso delle sofisticazioni alimentari e della food security, come si evince anche da una poco felice scelta di inserire un cavolo e una bistecca posticci nelle due "o" a forma di piatto sulla altrimenti pregevole locandina del film. Peraltro unica caduta di stile di un prodotto che invece risulta essere molto ben confezionato, una vera produzione italiana internazionale come in effetti se ne vedono poche, girata ad Hong Kong, che si avvale di un cast notevole, tra cui la star cinese Zhang Jingchu, e soprattutto di un team di collaboratori di altissimo livello, dal direttore della fotografia Arnaldo Catinari, alla costumista premio oscar Milena Canonero. Il film è molto liberamente tratto dall'opera Mi fido di te di Francesco Abate e Massimo Carlotto edita da Einaudi, un romanzo evidentemente dai toni troppo particolari, drammatico e grottesco allo stesso tempo, per essere portato sullo schermo: per cui Barbareschi, insieme allo sceneggiatore Francesco Arlanch, ha riscritto completamente la storia, prendendo come spunto il tema forte e attuale delle sofisticazioni alimentari, sul quale ha costruito quella che gli americani definiscono una classica redemption story, le redenzione di un uomo attraverso l'amore, l'incontro e il riscatto di due personaggi in aperta antitesi tra loro catturati da un amore più forte delle circostanze.


Xiwen è una giovane donna che perde il figlioletto che muore avvelenato da un alimento adulterato. Matteo lavora per il gruppo Feng, una multinazionale con sede a Hong Kong che dietro la rispettabile facciata, traffica cibo contraffatto nel mondo. In seguito al salvataggio dal sequestro di un prezioso carico, Matteo viene nominato responsabile del traffico internazionale di alimenti e inizia una scalata al successo senza scrupoli. Le sue certezze e i compromessi con la sua coscienza sembrano improvvisamente vacillare quando incontra proprio Xiwen, che ha aperto un ristorante in memoria del figlio, attraverso il quale combatte una sua battaglia privata per l'autenticità degli alimenti. Fra i due che dovrebbero essere destinati all'odio reciproco, nasce un legame che sconvolgerà la vita di entrambi, soprattutto quando scopriranno qual'è il destino che li lega: soprattutto Xiwen dovrà scegliere se fidarsi di Matteo quando lui avrà bisogno del suo aiuto in seguito ad un'accusa di triplice omicidio. La fiducia dicevamo, I trust you, è il motivo che ricorre tra i due protagonisti: Matteo si fida di una donna che scioglie il suo cinismo e le raffinate forme di autoassoluzione alla quale si è assuefatto, intima e ultima possibilità di salvezza e occasione di cambiamento che non credeva più possibile, e anche Xiwen decide di fidarsi di un uomo che le strappa il primo sorriso dopo anni e le ricorda che è ancora in grado di amare.

Come detto il tema della contraffazione alimentare rimane sullo sfondo, forse troppo, rappresentando così una mancata occasione di approfondimento, benché la scabrosa attualità del soggetto ha fatto si che non ci siano banche tra i finanziatori del film, "preoccupate forse" secondo Barbareschi "di irritare qualche gruppo o multinazionale tra i propri clienti". Ma non è un documentario di Michael Moore, ma una love story ricca di suspense, girata in inglese e cinese, e come dicevamo è un raro esempio di film italiano internazionale che riesce a restituire in maniera più che dignitosa l'estetica di tanto cinema di genere, nelle ambientazioni, nelle atmosfere, nonché nella narrazione e nei dialoghi. Ben scritto dal giovane Arlanch, che viene da 15 anni di televisione, e per stessa ammissione degli autori il film deve molto all'esperienza accumulata con le recenti produzioni televisive della Casanova Multimedia (la recente miniserie sulla vita di Adriano Olivetti): non si fa altro che ripetere come oramai cinema e televisione vadano a braccetto e di come tante produzione TV siano di livello anche superiore a quelle cinematografiche, per cui l'esperienza di Barbareschi come produttore di scripted formats ha sicuramente avuto il suo peso.
Evidentemente a livello registico si nota un certo indugio su certi estetismi di maniera, la pioggia, la fotografia saturata, le luci notturne e le vetrate riflettenti e soprattutto un eccessivo uso del ralenty: il film un po' troppo lungo, quasi perfetto per una miniserie in due puntate in effetti. Ma soprattutto grazie alla sceneggiatura ben scritta, nonostante qualche patinatura e qualche cliché, le situazioni e i personaggi rimangono piuttosto credibili, senza mai sconfinare troppo nel retorico o nel grottesco. Anche Barbareschi attore, reduce dal successo a teatro con Il Discorso del Re da David Seidler, se la cava egregiamente: non avendo budget per una star straniera ("e gli attori italiani a cui avevo pensato non mi hanno voluto come regista"), si è ritagliato con innegabile professionalità il ruolo del protagonista, stropicciato e disilluso quanto basta per rendere credibile la storia con la fragile e appassionata Zhang Jingchu, piuttosto carina in effetti. Niente di clamoroso, ma sicuramente un risultato oltre le aspettative, un prodotto eccellente anche dal punto di vista visivo girato in 4K, con una bella canzone di Damien Rice (e non è poco) come love theme, che va ad arricchire la bella colonna sonora di Marco Zurzolo, e che soprattutto ha il pregio di ricordarci che se si hanno mezzi, esperienza e professionalità, anche in Italia si può fare onesto cinema di genere.

Movieplayer.it

3.0/5