Recensione Sherlock Holmes: Gioco di ombre (2011)

Questo sequel offre, rispetto al suo predecessore, una dose ancora maggiore di azione e adrenalina, profuse a piene mani e ottimamente restituite dalla regia sincopata e improntata al virtuosismo di Ritchie: l'estetica è quella che ha già fatto la fortuna del primo film, anche in scenografie di impatto che mescolano sapientemente digitale e ricostruzione ambientale.

Giochi di ombre, venti di guerra

Londra, fine '800. L'Europa è scossa da tensioni politiche e attentati che si traducono in venti di guerra: bombe scoppiano a Strasburgo e a Vienna, e anche nella capitale britannica un attentato in un museo è sventato per poco. A evitare un'altra strage, il detective più brillante e bohemienne del regno: Sherlock Holmes, che ancora una volta sta seguendo le tracce dell'attraente Irene Adler, cacciatasi in un guaio di cui lei stessa non intuisce le proporzioni. Dietro le macchinazioni politiche che stanno scuotendo il continente, infatti, si cela una mente brillante e integralmente dedita al crimine, quella del professor James Moriarty. Quando Holmes, durante la festa di addio al celibato del fido compare Watson, viene a contatto con la bella zingara Sim, destinataria di un pacco sottratto a Irene, il piano di Moriarty inizia a emergere nella sua complessità: il diabolico professore sta infatti controllando le azioni di un gruppo anarchico internazionale, e ne tiene sotto ricatto i membri, tra i quali spicca proprio il fratello di Sim. Nonostante l'imminente matrimonio, il compassato Watson non potrà fare a meno di aiutare l'amico-compare a fermare i piani di Moriarty, seguendolo in un'avventura che farà attraversare loro mezza Europa, dalla Francia alla Germania fino alla Svizzera. Insieme a loro, Sim e un gruppo di suoi compagni nomadi, nella duplice speranza di evitare il conflitto mondiale che il perfido professore sta tentando di scatenare, e di salvare la vita del fratello della giovane.


Il successo del primo Sherlock Holmes di Guy Ritchie, uscito due anni orsono, è stato grande ma in fondo non così difficile da prevedere, e soprattutto non immeritato. L'operazione compiuta da Ritchie e dai produttori Joel Silver e Lionel Wigram (autore, quest'ultimo, della graphic novel che aveva dato origine alla prima pellicola) è stata quella di aggiornare ai gusti delle nuove generazioni un personaggio classico per eccellenza, di cui tuttavia le precedenti versioni televisive e cinematografiche avevano messo in evidenza solo alcune caratteristiche a scapito di altre. Via così cappello, mantellina e lente d'ingrandimento, spazio all'azione, alle arti marziali e ai travestimenti, a una visione anticonvenzionale e tutta tesa alla fisicità del personaggio che trovava in Robert Downey Jr., e nella sua (auto)ironia, l'interprete ideale. Questo Sherlock Holmes: Gioco di ombre, e il suo soggetto, era stato già in qualche modo annunciato dal finale del film precedente, che prefigurava l'apparizione della nemesi storica del personaggio creato da Arthur Conan Doyle: e il professor Moriarty appare infatti, qui, in tutta la sua sfavillante attitudine al male, interpretato da un Jared Harris affascinante ed efficace, che ingaggia col protagonista un duello a distanza che si concluderà solo durante un importante vertice internazionale. Il "gioco di ombre", la simbolica partita di scacchi giocata tra i due non si traduce, tuttavia, in una semplice e statica sfida deduttiva: al contrario, al confronto finale si arriva attraverso inseguimenti e colpi di arti marziali, cannonate, pistolettate e fughe da treni in corsa, travestimenti e sbornie prese da personaggi insospettabili.

Questo sequel offre in effetti, rispetto al suo predecessore, una dose ancora maggiore di azione e adrenalina, profuse a piene mani e ottimamente restituite dalla regia sincopata e improntata al virtuosismo di Ritchie: la cosiddetta Vision-o-Holmes, prefigurazione degli eventi raffigurati nella mente del protagonista, precede ogni scontro o azione importante compiuta dal detective, il montaggio è di nuovo frenetico ma preciso nella costruzione, l'estetica è quella che ha già fatto la fortuna del primo film, anche in scenografie di impatto che mescolano sapientemente digitale e ricostruzione ambientale. Quello che tuttavia si nota è un mood più classico e avventuroso nella narrazione, la necessità, dettata dalla vastità del teatro di azione, di un più ampio respiro che si traduce automaticamente in una regia meno sperimentale, più aperta a dolly e panoramiche, addirittura con una parentesi western e sottolineata da un commento sonoro più arioso e parco di momenti claustrofobici. I cultori dello Sherlock Holmes così come ci era stato tramandato da un secolo di cinema e televisione (se si esclude, ovviamente, la recentissima ed eccellente versione della BBC nella miniserie Sherlock) saranno ancora più delusi da questo Sherlock Holmes: Gioco di ombre; che non solo ribadisce tutta la carica fisica e la divertente attitudine anarchica del personaggio interpretato da Downey Jr. (affiancato dal sempre simpatico Jude Law nei panni del riflessivo Watson, e dalla bella new entry Noomi Rapace) ma ne offre una versione ancora più "bondiana" e autoironica, sacrificando un po' la componente puramente deduttiva e di capacità investigativa. C'è poco spazio per le pause di riflessione, effettivamente, in un'avventura che scorre rapida tra i palcoscenici (in tumultuosa trasformazione) dell'Europa di fine '800, mantenendo comunque alta l'attenzione dello spettatore nelle sue oltre due ore di durata. L'inquadramento storico è comunque preciso e accurato, e una delle frasi finali pronunciate da Moriarty, riguardante l'ineluttabilità di eventi che la mera lettura dei libri di storia conferma solo rimandati, non può non colpire: il ragionamento sulla natura umana espresso dal professore è difficilmente confutabile. L'essere riusciti ad inserirlo in un film d'azione per famiglie, seppure nella forma schematica imposta dal genere, è sicuramente un merito in più da ascrivere a questo riuscito sequel.

Movieplayer.it

3.0/5