Recensione Muffa (2012)

Un film di denuncia sociale che indaga la solitudine dell'animo umano di fronte al lutto e alla perdita. Tra silenzi e immobilità, il regista filma il vuoto e l'assenza e colpisce nel segno con un'opera prima di grande impatto emotivo.

Apologia della solitudine

Premio Luigi de Laurentiis come Migliore Opera Prima alla 69° Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia 2012, primo lungometraggio dell'esordiente Ali Aydın, Muffa si ispira alle figure delle "madri del sabato" che negli anni 90 manifestavano ad Istanbul per avere risposte sulla sorte dei propri figli, fatti sparire dall'esercito turco che utilizzava questa pratica nelle fasi più cruente della lotta al terrorismo. Nel 1995 un gruppo di donne iniziò una protesta permanente, ogni sabato davanti al liceo di Galatasaray, per questo vennero ribattezzate le "madri del sabato". Per raccontare la storia degli scomparsi della repressione, i desaparecidos kurdi in Turchia, il giovane regista classe 1981 si concentra sul punto di vista non di coloro che sono spariti dopo l'arresto, ma di coloro che ne aspettano il ritorno, la storia di chi rimane, devastato dalla perdita. E della solitudine, di tutte le nevrosi, i sensi di colpa, i dubbi e le malinconie che assalgono l'animo e la coscienza umana che elabora questa perdita.


Per raccontare la protesta delle donne del sabato, il cineasta sceglie di raccontare invece la storia di un padre, un uomo: "perché volevo porre una distanza tra il pubblico e il film... se il personaggio principale fosse stato una madre, le persone avrebbero avuto un sguardo troppo compassionevole invece di concentrarsi sugli eventi". Basri (Ercan Kesal), il protagonista, è un uomo solitario, totalmente distaccato dalla propria vita. Lavora come guardiano delle ferrovie, da qualche parte in Anatolia Orientale: ogni giorno percorre a piedi chilometri di binari, in mezzo a paesaggi sperduti e in grande solitudine. Il figlio è stato arrestato 18 anni prima per le sue opinioni politiche, la moglie è morta, lui è rimasto solo, isolato dalla società. Ma la sua speranza di ritrovare il figlio è incrollabile "finché Allah mi darà vita io non mollerò": da 18 anni continua a scrivere due lettera al mese, al Ministero degli Interni e alla Questura, finendo più volte incarcerato e torturato per la sua insistenza. Niente può fermare la sua determinazione, l'idea di poter un giorno avere notizie del figlio è quella che lo spinge ad andare avanti nelle sue giornate fatte di silenzi e solitudine, che si susseguono sempre uguali. "Voglio almeno poter accudire la sua tomba". Un giorno riceve la notizia che il corpo del figlio è stato ritrovato. Cosa prova Basri davanti alla cassetta di legno con le ossa del figlio messa sul tavolo insieme a tanti altri oggetti qualunque? La sua anima troverà il sollievo sperato, oppure ora che non c'è più neanche l'idea del figlio si sente più solo di prima?

La ragione per la quale un uomo sopravvive alla morte del proprio figlio è il figlio stesso, alla fine. Aydin riesce con struggente sensibilità nell'intento di filmare il vuoto e l'assenza: apologia della solitudine, la desolazione dei paesaggi rispecchia quella dell'animo dell'uomo distrutto e svuotato dalla perdita. Piani sequenza lunghissimi, l'immobilità dell'animo restituita da movimenti di macchina ridotti al minimo, tutte le inquadrature sono immerse nel silenzio: solo una vecchia radio a transistor che accompagna Basri nelle sue giornate ci riporta per un attimo a contatto con la realtà attraverso le notizie e le cronache di quegli anni. Niente musica, dialoghi ridotti all'essenziale, il film penetra nelle ossa e nello stomaco come la muffa del titolo, che rappresenta l'attesa e il dilatarsi dei tempi, emozionale e filmico, ai limiti del sostenibile per lo spettatore. Atmosfere cupe che nutrono l'essenza di anime che giorno dopo giorno perdono la speranza. Il giovane regista riesce nel compito non facile di mescolare la denuncia all'indagine dell'animo umano, racconta storie vere senza cedere al facile pietismo e alla commozione, e ci restituisce con Muffa un'opera prima di difficile fruizione ma di grande impatto emotivo, che si insinua lentamente sotto la pelle, scava a fondo e non lascia indifferenti.

Movieplayer.it

3.0/5