Recensione Miracolo a Le Havre (2011)

Modalità narrative vecchio stile e temi attuali - in particolare di questi tempi in Francia - per la pellicola a base di buoni sentimenti firmata da Aki Kaurismaki.

Miracolo in Normandia

Marcel è un attempato e spiritoso lustrascarpe che sbarca il lunario grazie alla frugalità dell'adorata e paziente moglie e alla generosità dei commercianti del quartiere di Le Havre, Normandia, dove vive. A portare scompiglio nella sua vita è l'incontro con Idrissa, un giovanissimo rifugiato del Gabon ricercato dalla polizia di frontiera. Con sua moglie ricoverata in ospedale per una grave malattia, Marcel nasconderà il ragazzo e cercherà di trovare la somma di denaro necessaria a spedirlo a Londra, dove l'attende la madre.


Un piccolo film per un grande concorso, qui al 64. Festival di Cannes, Le Havre di Aki Kaurismaki è una commedia chapliniana nei temi e nelle modalità narrative, con un infinitamente amabile Jean-Pierre Léaud che persino alla pronuncia delle sue battute riesce a regalare una sfumatura old style.
La fotografia di grande espressività del fido Timo Salminen conferisce alla vicenda un'atmosfera vagamente surreale, come si confà a una favola metropolitana come questa, in cui tutti gli abitanti del povero quartiere di Le Havre s'industriano per aiutare Marcel e il suo giovane protetto, e persino l'ispettore locale, un contegnoso e vissuto Jean-Pierre Darroussin, preferisce chiudere un occhio, anzi tutti e due, in barba agli ordini del ministero, per permettere al ragazzo di oltrepassare la Manica.

Semplice fino all'ingenuità nel plot e nella messa in scena, Le Havre è un film dallo spirito contagiosamente positivo che affronta un problema attuale come quello dell'emigrazione, più che mai all'ordine del giorno nella Francia sarkozyana, con leggerezza ma non con superficialità. Un "peso mosca" in questa poderosa selezione competitiva, giova ribadirlo, ma forse il più dolce e confortante del lotto. E abbiamo sempre bisogno di miracoli.

Movieplayer.it

3.0/5