Recensione Lo Hobbit: un viaggio inaspettato (2012)

Il film non è coinvolgente ed emozionante quanto Il signore degli anelli, ma stiamo parlando di qualcosa di praticamente impossibile da eguagliare; considerando la natura del progetto e le sue sfide, il risultato non è soddisfacente: è straordinario.

Appuntamento a Casa Baggins

Lo hobbit, una trilogia? Neanche trecento pagine di romanzo, praticamente un protozoo letterario al confronto con Il signore degli anelli. Una trilogia filmica è un'assurdità, l'atto di un regista bollito che evidentemente è vittima di un delirio di onnipotenza e che è stato assecondato da due avidi e ciechi studios ansiosi di incassare sulla scia del successo di tre film usciti dieci anni fa, e pazienza se il risultato è logorroico e disorganico e magari pure noioso.
Ecco, vogliamo prendere atto di questa posizione, la più diffusa tra gli addetti ai lavori ma anche tra tanti fan, per avvisarvi che se vi riconoscete totalmente in essa potete anche smettere di leggere questa recensione, perché qui non la troverete supportata. Chi scrive è appassionata lettrice tolkieniana e devota Ringer della prima ora, ed è anche fermamente convinta del fatto che tre film di questa portata, ben scritti, meravigliosamente recitati, visionariamente diretti, innovativi, spettacolari, e tanto curati nei dettagli da essere un monumento a tutte le arti, non solo alla Settima, siano decisamente meglio di uno soltanto.


Peter Jackson, Fran Walsh e Philippa Boyens non hanno avuto bisogno di scegliere cosa tenere e cosa scartare, di un testo per di più snello e sintetico nei suoi sviluppi. E questo può essere un male, certo. Ma avercela, la libertà di seguire una visione, la libertà di omaggiare con amore e profusione di mezzi il pensiero di un artista adorato. Jackson l'ha avuta e se non altro il suo lavoro è ammirevole nella sue dedizione al mondo di Tolkien e alla propria idea di esso. E se non vi interessa, nessuno minaccia di passarvi a fil di spada per farvi acquistare un biglietto con maggiorazione 3D, giusto?
Ma se scegliete di farlo, ritroverete Hobbiton così come la ricordate all'inizio de Il signore degli anelli - La compagnia dell'anello, immersa nel verde e nel sole e nell'eccitazione per la grande festa del centoundicesimo compleanno di Bilbo Baggins. Ritroverete il giovane e spensierato Frodo che non sta nella pelle all'idea di riabbracciare Gandalf. E ritroverete Bilbo che, in procinto di mettere in atto il suo piano, vuole affidare al suo protetto e a noi tutta la verità sull'avventura da cui, sessant'anni prima, tornò ricco e cambiato. Quando, insomma, tredici nani e un mago si presentarono inspiegabilmente presso il suo confortevole domicilio.

Per quanto indubbiamente adattamento dettagliato dei primi capitoli del romanzo, quella de Lo hobbit: un viaggio inaspettato non è affatto una trasposizione pedissequa: intanto la struttura è alterata dalla cornice, che permette tra l'altro a Jackson di aprire con una scena incredibile, quella della distruzione di Dale da parte del drago Smaug (ma non aspettatevi di vederlo, il mostro, almeno fino a The Hobbit: The Desolation of Smaug, è un'altra la star di Un viaggio inaspettato e ne parleremo più avanti). Ma la modifica più sostanziale riguarda il perno tematico del film, il focus narrativo su cui gli sceneggiatori si sforzano di ancorarsi per creare empatia ed organicità, e riguarda il rapporto tra il nostro Bilbo e il capo della sua spedizione, il nobile nano Thorin Scudodiquercia. Martin Freeman è straordinariamente in parte, e crea un personaggio molto più divertente e interessante del Frodo della trilogia degli Anelli; e Richard Armitage incarna un Thorin completamente scevro della prosopopea comica di cui Tolkien lo ammanta nel romanzo, e assolutamente affascinante. Ma anche se è bello, ombroso e stropicciato come Aragorn, non è Aragorn: Thorin ha una "metà oscura" molto temuta e pericolosa, e anche se qui lo script si concentra più sul suo valore e sulla giustezza dei suoi reclami, non tralascia il suo rancore e la sua avidità.
Ora, questo Bilbo non è un personaggio passivo e fragile come Frodo: lui alla fine parte per scelta e brama d'avventura, anche se poi deve confrontarsi con le proprie comprensibili paure e la nostalgia della Contea e di Casa Baggins, e soprattutto deve superare la diffidenza e l'orgoglio di Thorin, che non si capacita del fatto che Gandalf (il solito strepitoso Ian McKellen) gli abbia reclutato uno scassinatore tanto inadeguato. Il cuore propulsivo di Un viaggio inaspettato è nell'avvicinamento di questi due personaggi inizialmente incapaci di relazionarsi, e non ha importanza che il film si fermi così presto, lasciandoci a centinaia di miglia dalla Montagna Solitaria: la prima tappa della quest è la conquista della fiducia in sé stesso e della stima di Thorin da parte di Bilbo. Naturalmente non è questo l'unico cardine su cui si basa una trama che si allontana dal canone il minimo indispensabile per creare maggiore coesione, senza però mai snaturare la storia. Serviva ad esempio un villain più corporeo del Negromante, donde l'introduzione - o meglio, l'ampliamento - dell'orco albino Azog, che svolge il doppio ruolo di feroce antagonista della spedizione e di nemesi personale di Thorin utile a delineare la personalità e il retaggio del principe nano.

Nel complesso, il materiale non può rivaleggiare con quello de Il signore degli anelli: il registro comico è decisamente prevalente (e qualche volta pure claudicante), i momenti drammatici scarseggiano e il senso di minaccia non è opprimente come anche nel solo La compagnia dell'anello. Tre stolidi troll di montagna, è ovvio, non valgono nove Nazgul. Ma la strada è ancora lunga e confidiamo che l'eccellente lavoro sulla caratterizzazione in questo primo episodio pagherà in seguito nelle due pellicole a venire, in cui ai nostri eroi toccherà fronteggiare gli orrori di Bosco Atro, un immenso drago sputafiamme e altre inattese insidie.

Dal punto di vista tecnico, poi, gli attacchi dei detrattori di questa nuova impresa jacksoniana sono a nostro avviso ancor più discutibili. Si è parlato di effetto National Geographic HD, di look da telenovela, di attacchi di nausea e capogiri di fronte al nuovo super frame rate accompagnato dalla stereoscopia, ed è anche comprensibile che sia necessario fare l'abitudine a qualcosa che innova tanto profondamente l'esperienza filmica. Il realismo garantito dai 48fps è l'elemento che rende ancora più gloriosa questa nuova sortita in Terra di Mezzo e i suoi spettacolari scenari, ognuno dei quali toglie letteralmente il fiato. Se poi c'è chi si lascia distrarre dalla quantità di informazioni, dalla bellezza di un'alba in alta definizione, dal realismo di un corso d'acqua cristallino e dalla maestà di una corona di monti, e perde il filo del racconto, questo non è certo imputabile a Jackson.
Altro capolavoro tecnologico è quell'infido, psicotico e tragico Gollum che, in misura anche maggiore rispetto alla Trilogia degli Anelli, ruba la scena a tutte le brillanti co-star: non la finiremo probabilmente mai di elogiare il contributo artistico di Andy Serkis, che ne ha fatta una creatura tanto umanamente toccante e credibile anche al di là dell'idea tolkieniana, né i maghi della Weta Digital che hanno reso possibile la sua indimenticabile presenza sullo schermo.

In conclusione, nel bilancio de Un viaggio inaspettato le voci positive sormontano di gran lunga quelle negative. Non è coinvolgente ed emozionante quanto Il signore degli anelli, ma stiamo parlando di qualcosa di praticamente impossibile da eguagliare; considerando la natura del progetto e le sue sfide, il risultato non è soddisfacente: è straordinario. Bentornati in Terra di Mezzo, e ancora una volta buon viaggio.

Movieplayer.it

4.0/5