Recensione Le avventure di Tintin: il segreto dell'unicorno (2011)

Il film di Steven Spielberg è un concentrato spettacolare di fiaba e infantile incanto; la raffinata messa in scena della storia di un eroe ragazzino, realizzata con il massimo delle tecnologie a disposizione.

Chi trova un amico, trova un tesoro

Quando un artista del calibro di Peter Jackson incontra uno dei re Mida della Nuova Hollywood come Steven Spielberg, il risultato non può passare mai inosservato. Se poi le rispettive esperienze, anche nel campo degli effetti speciali, si confrontano nella trasposizione cinematografica di uno dei personaggi dei fumetti più amati di sempre, Tintin, allora si può gridare al miracolo. Questo è Le avventure di Tintin: Il segreto dell'unicorno, un concentrato spettacolare di fiaba e infantile incanto; la raffinata messa in scena della storia di un eroe ragazzino, realizzata con il massimo delle tecnologie a disposizione. Già, perché se negli anni '30 al disegnatore belga Hergé bastavano un foglio di carta e dei colori per far sognare i piccoli lettori di tutto il mondo, lo smaliziato pubblico di oggi chiede qualcosa in più e Steven Spielberg, pioniere del cinema-divertimento, raccoglie la sfida e non delude gli spettatori.


Ispirato alle tavole Il granchio d'oro, Il segreto del Liocorno e Il tesoro di Rackham il Rosso, il film di Spielberg, prodotto da Peter Jackson (che, appena terminate le riprese di The Hobbit, dirigerà il secondo capitolo della trilogia), racconta l'ennesima avventura di questo giovane reporter costantemente in mezzo ai guai, dai cui riesce a districarsi grazie all'inconfondibile fiuto, ad un cuore puro e all'aiuto dell'inseparabile cagnolino Snowie (il Milou del fumetto). Stavolta Tintin dovrà recuperare il tesoro del temibile pirata Rackham, finito incautamente nelle mani del malvagio Ivan Ivanovitch Sakharine. Affiancato dall'irascibile ma fido Capitano Haddock e dai poliziotti Thompson&Thomson (in originale Dupont e Dupond), Tintin deve ritrovare il relitto dell'Unicorno, una nave che nasconde un'immensa fortuna, ma sulla quale grava anche un'antica maledizione.

Spielberg scopre i fumetti di Hergé nel 1981, quando un malizioso reporter gli fece notare una certa somiglianza tra l'Indiana Jones de I predatori dell'Arca perduta e le vicende di Tintin. Dopo una veloce indagine, il regista fece comprare i diritti delle storie, affascinato da quel personaggio indomito salito alla ribalta del mondo dei comics nel gennaio del 1929. L'anno del crack di Wall Street, del consolidamento della potenza Sovietica, delle prime avvisaglie del nazismo in Germania (il Mein Kampf di Adolf Hitler è del 1925), viene segnato anche dall'arrivo di un eroe sui generis, un ragazzino col pallino della verità, in perenne lotta contro il male. Apparso nel supplemento per ragazzi del quotidiano cattolico "Le Vingtième Siècle", Tintin rappresenta da subito il volto pulito di una certa gioventù, oltre ad essere innovativo dal punto di vista grafico; è la prima striscia disegnata, infatti, a portare in Europa la nuvoletta per contenere il testo, mutuando il modello americano di Arcibaldo e Petronilla.
Dopo 30 anni di attesa e grazie alla sinergia con la Weta di Jackson il risultato è strabiliante per la resa dei paesaggi e degli essere umani. Grazie al procedimento della performance capture basata sull'immagine facciale (tecnica usata ne Il signore degli anelli e in Avatar), i movimenti del volto degli attori che hanno prestato il loro corpo per delinerare i rispettivi caratteri sono stati registrati minuziosamente e poi resi anche a livello digitale. Un lavoro che ha coinvolto quindi tutto il cast, da Jamie Bell, il prode Tintin, a Andy Serkis, fino al Sackharine di Daniel Craig. Mai perdendo di vista il senso della storia, Spielberg rimordenizza il linguaggio antiquato di Tintin, senza snaturarne lo spirito e regalando un'inaspettata profondità anche ai personaggi di contorno, dal capitano Haddock, una versione rude e beona di Braccio di Ferro, vero contraltare di Tintin, agli agenti Thompson&Thomson, che nel film acquistano maggiore tridimensionalità.
Le avventure di Tintin: Il segreto dell'Unicorno è un'opera fanciullesca nel senso più bello e puro del termine, in cui avventura e umorismo si mescolano alla perfezione, restituendo al pubblico quello spirito 'spielberghiano' che da sempre ha decretato il successo del cineasta. Vintage al punto giusto, con un delizioso omaggio alla vera creatura di Hergé (l'uomo del ritratto che si vede all'inizio), il film dà il meglio di sé nei momenti più concitati come la bellissima sequenza della battaglia in mare, raccontata da Haddock come se fosse una favola che prende vita davanti ai nostri occhi e soprattutto nel piano sequenza mozzafiato ambientato nella città marocchina; una scena che effettivamente può ricordare i momenti più belli della saga di Indiana Jones. Da vedere allontanando rigorosamente ogni pesantezza quotidiana, per abbandonarsi ad una storia ingenua e forse per questo, più diretta al cuore. E' un piacere che ogni tanto ci si deve concedere.

Movieplayer.it

3.0/5