Recensione Las malas intenciones (2011)

La regista confezione un'opera intimista ma anche con una spiccata verve da dark-comedy, incentrata su una protagonista un po' burtoniana, ossessionata dalla tragedia per sfuggire alla solitudine e per colmare il proprio bisogno di affetto.

Io non sono invisibile

Cayetana ha otto anni, è ricca, frequenta una scuola di lusso e passa il suo tempo con gli eroi dell'indipendenza peruviana. Sì, perché con la madre lontana per colpa del lavoro e il padre che, da divorziato, preferisce divertimenti e flirt alle responsabilità genitoriali, a lei non rimane altro che rifugiarsi nella storia, e nel mito che spesso la storia porta con sé. Quello che affascina Cayetana non sono tanto le gesta, per quanto lodevoli, dei patrioti nazionali, quanto le loro tragiche morti, meglio se precedute da rovinose sconfitte sul campo di battaglia. E' con questi personaggi, per metà reali e per metà romanzati dalla sua fervida fantasia, che la ragazzina passa i tanti momenti solitari, e che interroga sulle tante domande a cui spesso gli adulti non sanno o non vogliono rispondere. Anche perché, nel caso di Cayetana, non è infrequente che le domande siano scomode, specie dopo la scoperta della nuova gravidanza della madre e la conseguente, irrazionale convinzione che la nascita del fratellino coinciderà con la propria morte perché, come insegnano i libri di storia "due soli non possono brillare nello stesso cielo".

Cayetana è troppo intelligente per essere simpatica, troppo attenta, troppo curiosa per accontentarsi di risposte sommarie o consolatorie: per questo se la prende con la madre e ha la cugina come unica amica. Ma, nonostante il suo carattere difficile, la giovane protagonista non riesce a risultarci antipatica, anzi: merito della regista Rosario García-Montero e della straordinaria interpretazione di Fatima Buntinx, che riescono a dare vita a un personaggio davvero ricco e complesso, egoista dell'egoismo inconsapevole dell'infanzia ma anche capace di slanci di incredibile sensibilità. Con il suo occhio critico e con l'ingenuità di chi, a fargli da guida, ha solo i libri e un po' di morale cattolica impartitagli a scuola, Cayetana decodifica il mondo senza mezzi termini, cercando come può di venire a patti con le tragedie della vita: va bene che la madre vada all'inferno, in quanto risposata, ma almeno la Morte, personificata da una vecchia domestica, si prenda la nonna Carmela, che tanto ha già dichiarato di starla aspettando, e lasci stare la cuginetta. Anche nel microcosmo borghese in cui è immersa giungono inevitabilmente gli echi delle lotte che agitano il Perù dei primi anni Ottanta, e quindi anche l'operato di Sendero Luminoso passa attraverso il personalissimo filtro della protagonista, offrendoci una prospettiva nuova, seppur ovviamente parziale e falsata dall'inconsapevolezza, su quei momenti tanto significativi.
La bravura della regista sta nell'imprimere una direzione intimista alla pellicola, sottolineata da un'ottima fotografia, dai colori desaturati che esaltano l'atmosfera sognante e decadente in cui sembra immersa la famiglia de la Heros, senza farla mai risultare troppo involuta su se stessa. Merito del sottile humour nero che pervade non soltanto la rappresentazione della realtà, ma anche le sequenze oniriche in cui sono i mentori di Cayetana a dire la loro, e che costituiscono alcuni dei momenti più suggestivi del film. Grazie a un ottimo lavoro di montaggio, sembra non esserci soluzione di continuità tra verità e fiction, tra il mondo fisico e il mondo nella mente della protagonista, e poter entrare in una mente così acuta e vivace, spaventata ma caparbia, è senz'altro un'esperienza affascinante. In fondo Cayetana esprime, in un modo che noi adulti non possiamo più usare, tutta la fame di amore che abbiamo, tutta la voglia di urlare al mondo, come lei, "io non sono invisibile".

Movieplayer.it

3.0/5