Recensione L'estate di Giacomo (2011)

Il merito della riuscita del film va alla sensibilità registica di Alessandro Comodin, capace di non annoiare mai con un piccolo lavoro fatto di emozioni impalbabili scaturite dal rapporto tra due giovani intorno a cui poco o niente accade.

Saper godere delle piccole cose

Ronchis, rive del Tagliamento. Estate 2010. Giacomo e Stefania trascorrono una giornata come tante sul fiume. Un picnic, tanti giochi nell'acqua, qualche coccola. Tra una lunga passeggiata nei boschi, una sessione alla batteria e una serata danzereccia alla festa del paese, i due ragazzi consumano un giorno della loro estate consapevoli dello scorrere del tempo e della nostalgia per un passato che sta per svanire. Il limen che segna il passaggio dall'adolescenza alla maturità, per il non udente Giacomo, è rappresentato dalla scelta di sottoporsi a un'operazione che lo aiuterà a riacquistare l'udito. L'esordiente Alessandro Comodin, formatosi alla Scuola delle Arti di Bruxelles, fonde intenti documentaristici e vocazione fictional per seguire da vicino il suo protagonista attraverso le tappe che scandiscono il film e che nascondono ben altro. L'estate di Giacomo nasce, infatti, come documentario incentrato sull'operazione a cui Giacomo decide di sottoporsi, ma in seguito viene sfrondato della componente più 'oggettiva' (la preparazione all'intervento, le sedute di logopedia...). Il nucleo del film si sposta in un limbo rarefatto e interiore, un paesaggio dell'anima a cui corrisponde la lussureggiante natura friulana in cui Giacomo e Stefania si immergono nella lunga sequenza che apre la pellicola, vero e proprio cammino d'iniziazione in cui la macchina da presa tallona i due giovani, solidale con la loro percezione del paesaggio fatto di rovi, acquitrini, cespugli e alberi caduti, in una sorta di grezzo e imperfetto piano sequenza, ruvido come le terre friulane.


Giacomo, Stefania e Barbara, la ragazza di Giacomo che appare nella parte finale del film, non sono attori e non vengono chiamati a recitare. La bellezza della loro interazione sta nella spontaneità e nella freschezza ottenute dall'improvvisazione e dall'essere se stessi anche di fronte alla macchina da presa di Comodin. Come spiega lo stesso regista, il suo intervento si limita a scegliere le location più significative, a creare le situazioni in cui Giacomo e Stefania si muovono e a dare significato alle sequenze in fase di montaggio. Resta il dubbio, nel pubblico ignaro dell'operazione che sta dietro al film, di stare assistendo a un'opera di finzione o comunque a una docu-fiction atipica che mescola le carte in tavola nella sua non-definizione. Merito della sensibilità registica di Alessandro Comodin, capace di non annoiare mai con un piccolo film fatto di emozioni impalbabili scaturite dal rapporto tra due giovani intorno a cui poco o niente accade. L'alchimia tra Giacomo e Stefy è tanto evidente da risultare magnetica catalizzando l'attenzione dello spettatore, così come la bellezza del personaggio Giacomo, goffo e spontaneo, chiacchierone e aggressivo, dal turpiloquio facile e dallo sguardo limpido. L'intuito filmico di Comodin, oltre che nella lunga sequenza d'apertura, si rivela in altre due scene di particolare suggestione, la romantica biciclettata al tramonto e la bellissima danza serale alla festa di paese. Squarci ed echi che conducono il documentario in altre direzioni e rappresentano un ottimo preludio per un brillante futuro nell'universo della finzione. A quanto pare Faber Film e Tucker Film hanno scommesso sul cavallo vincente. A dimostrarlo ci pensa un lucente Pardo d'Oro conquistato a Locarno nella sezione Cineasti del Presente. E questo è solo l'inizio.

Movieplayer.it

3.0/5