Recensione L'alba del pianeta delle scimmie (2011)

L'interpretazione di Cesar, il dolore e la rabbia insieme che vengono dal suo volto e dalla sua figura, sono probabilmente il principale punto di forza del film.

Monkey in My Soul

Will Rodman è un medico ricercatore di San Francisco, che ha messo a punto una rivoluzionaria cura per l'Alzheimer. Il farmaco, testato sulle scimmie da laboratorio, sembra dare risultati promettenti, tanto che il capo di Will, Steven Jacobs, intravede enormi possibilità di guadagno da una sua possibile applicazione; ma durante la presentazione del farmaco a potenziali acquirenti qualcosa va storto, una femmina di scimpanzè che ha ricevuto la molecola diventa aggressiva, e l'incidente provoca l'interruzione della sperimentazione. Will, però, non si dà per vinto, anche perché coinvolto personalmente: suo padre Charles è infati malato di Alzheimer, e il medico non può fare a meno di trafugare le scorte del farmaco per somministrarle al genitore. In più, Will ha segretamente preso con sé il piccolo scimpanzè dato alla luce dalla femmina che aveva provocato l'incidente: Cesar, questo il nome dato al cucciolo, rivela da subito un'intelligenza straordinaria, superiore anche a quella dei suoi coetanei umani, segno che gli effetti del farmaco inoculato alla madre si sono trasferiti nel suo patrimonio genetico. Nel frattempo, Charles migliora in modo sorprendente, e Cesar cresce mostrando tratti di personalità sempre più umani; ma un incidente imprevisto separerà il giovane scimpanzè dal suo padrone, mentre una nuova sperimentazione del farmaco, che si rivelerà infine tutt'altro che sicuro, produrrà effetti devastanti.


Questo già molto chiacchierato L'alba del pianeta delle scimmie, prequel/reboot (ormai i confini tra le varie possibilità di riavvio di una saga sono sempre più sfumati) della serie iniziata nel 1968 con l'originale Il pianeta delle scimmie, si è rivelato una piacevole sorpresa. D'altronde, i sequel della saga originale (quattro in tutto) avevano in parte deluso gli appassionati, e il remake del 2001 diretto da Tim Burton aveva lasciato l'amaro in bocca tanto a chi ricordava il prototipo, a cui non veniva aggiunto sostanzialmente nulla di nuovo, quanto ai burtoniani di ferro, che faticavano a rivedere in quel progetto su commissione stile e tematiche del regista di Beetlejuice ed Edward Mani di forbice. Nel frattempo, nel mondo del cinema americano e degli effetti speciali è successo di tutto: i dieci anni trascorsi equivalgono forse a un trentennio se rapportati alla velocità di evoluzione del passato, con l'uso massiccio della CGI e di tecniche come la performance capture che hanno rivoluzionato da dentro il modo stesso di proporre e fruire il cinema di intrattenimento. Ora, come già il Gollum de Il signore degli anelli e il King Kong del 2005 di Peter Jackson, lo scimpanzè Cesar è una creatura in gran parte virtuale; una creazione digitale e interamente animata al computer, che tuttavia necessita delle movenze reali, e concrete, di un Andy Serkis ormai specializzatosi nel prestare il suo corpo e la sua voce a dei simulacri filmici resi vivi dai pixel. Ciò che stupisce positivamente, in questo caso, è proprio il felice amalgama tra l'estremo realismo, frutto di un digitale quasi invisibile, della resa della creatura, e il fondamentale contributo dell'attore nel ricreare i movimenti, l'attitudine corporea, di una scimmia che prende contatto con la realtà di un'intelligenza superiore a quella dei suoi simili.

Il lavoro della Weta, colosso dei sogni in digitale, è anche qui encomiabile: in un film dove il protagonista è proprio Cesar, era fondamentale rendere, con l'espressione facciale, l'evoluzione di una consapevolezza sempre crescente, la crescita fisica e mentale di una creatura che da un lato si rende conto di essere speciale tra i suoi simili, dall'altro sperimenta la solitudine insieme alla violenza fisica e psicologica, risultato della bestialità umana. L'"interpretazione" di Cesar, il dolore e la rabbia insieme che vengono dal suo volto e dalla sua figura, sono probabilmente il principale punto di forza del film. Film che comunque, è bene dirlo, ha anche altri pregi: a un intreccio tutto sommato risaputo (un'ennesima variazione sul tema del mostro di Frankenstein, con tematiche ecologiche altrettanto scontate) fa da contraltare uno sviluppo narrativo equilibrato e a tratti accattivante, con al centro un tormentato James Franco che, come da copione, mosso dalle migliori intenzioni finisce per provocare un disastro di proporzioni planetarie. La lenta presa di coscienza della scimmia Cesar, il suo distacco dal padrone e la sua consapevolezza nel mettersi alla guida di una sollevazione che cambierà per sempre i destini del mondo, sono resi dalla sceneggiatura con un crescendo emotivamente coinvolgente, che evita sapientemente le trappole del ridicolo involontario (sempre dietro l'angolo dato il tema) e relega le parentesi umoristiche a latere, in pochi dialoghi (tra l'altro molto gustosi) tra lo scimpanzè protagonista e un suo intelligente "collega" attraverso la lingua dei segni. E, se è vero che qualche personaggio è forse eccessivamente schematico e ai confini dello stereotipo (il custode del rifugio per animali interpretato da Tom Felton, lo stesso capo dell'azienda del protagonista a cui dà il volto David Oyelowo) va segnalata, come contraltare, l'intensa e dolente interpretazione di John Lithgow nei panni del padre malato del protagonista.
Da parte sua, il regista Rupert Wyatt non ha problemi a gestire il tutto con sicurezza e senso del ritmo, dando spazio per oltre un'ora al montare di una tensione dai contorni che si intuiscono tragici, e concentrando tutta l'azione negli ultimi venti minuti, comunque estremamente godibili e visivamente "leggibili". La tragedia vera, nel finale di questo L'alba del pianeta delle scimmie, resta sapientemente fuori campo, ma l'espediente utilizzato, sui titoli di coda, fa quasi più effetto di una descrizione per immagini. La strada per un sequel è più che mai aperta, ma in fondo la cosa non disturba affatto: Cesar è un personaggio in divenire per eccellenza, la sua strada di leader rivoluzionario dall'animo (paradossalmente) umano è tutta da costruire. Scoprirla (o riscoprirla) potrebbe essere, per lo spettatore, un'esperienza cinematografica più che appagante.

Movieplayer.it

3.0/5