Recensione Il mio angolo di paradiso (2011)

Lo script di Gren Wells non esita ad addentrarsi nelle angosce e nei dilemmi di una persona che si ritrova ad affrontare un nemico tanto insidioso, e l'impatto che questo ha sulla sua vita e sui suoi cari.

Il paradiso a New Orleans

Chi, trovandosi improvvisamente di fronte a una biancovestita Whoopi Goldberg che ti promette di realizzare tre incredibili desideri, qualsiasi cosa riguardino, non pensererebbe di essere spirato e finito in paradiso? Marley, però, una giovane donna brillante, indipendente e spiritosa, pubblicitaria di successo, non prende troppo sul serio la sua situazione, nonostante la brutale franchezza della sua personale idea di Dio. Per fortuna, Whoopi la sa lunga, e il desiderio sopito della caparbia ragazza troverà la strada per la sua gloriosa, seppure breve, realizzazione.


Presentato come una commedia romantica, Il mio angolo di paradiso parte sì con toni lievi ma ben presto si addentra in un territorio difficile in bilico tra leggerezza e dramma. Il tema centrale è probabilmente uno dei più classici di questo filone: la difficoltà di aprirsi ai sentimenti, di affidarsi completamente ad un'altra persona, di fare, insomma, il grande salto, un laicissimo e romantico "atto di fede". Marley non ha mai avuto difficoltà con l'altro sesso, ma le sue storie sono ludiche disimpegnate e finiscono nel momento in cui l'amante le chiede qualcosa in più; nella sua vita non c'è spazio per una vera relazione. Ma le cose iniziano a cambiare quando incontra l'affascinante Julian, che, accidentalmente, è il suo medico. Perché l'altro tema del film di Nicole Kassel è la malattia, una malattia devastante e incomprensibile, ma che non per questo non può essere oggetto di ironia.

Non ci fraintendete: l'approccio di Il mio angolo di paradiso al male che affligge la sua eroina non è affatto realistico, lo script ce ne risparmia gli autentici orrori e semplifica, a scopi narrativi, il background medico, diagnostico e terapeutico. Ma per queste cose c'è, purtroppo, la vita vera, e in fondo questo è solo un film. Per quanto spesso debole e claudicante, lo script di Gren Wells non esita ad addentrarsi nelle angosce e nei dilemmi di una persona che si ritrova ad affrontare un nemico tanto insidioso, e l'impatto che questo ha sulla sua vita e sui suoi cari, anche se il vero salto nell'abisso - quello che era la sostanza dei pensieri, dei discorsi e dell'amore dei protagonisti de L'amore che resta, un film passato da poco nelle nostre sale e che affronta il tema della malattia e della fine con tutt'altro piglio e modalità narrative - qui non fa mai davvero paura.
Perché Marley è una ragazza coraggiosa, più coraggiosa forse della sua interprete Kate Hudson, che, pur avendo dimostrato un talento precoce, non si è mai troppo discostata dal prototipo di eroina da rom com a cui il suo aspetto e la sua vivacità la predispongono. Questa pellicola era forse l'occasione di dimostrare il rovescio drammatico della sua luminosa personalità, ma il difetto principale del film è proprio quello di non riuscire a trovare un equilibrio tra i due registri, con il risultato che i momenti di maggiore pathos sono forzosamente marcati e lacrimevoli - e anche la sua performance sembra risentirne. Il sodalizio con Gael Garcia Bernal non aiuta: il volto fresco e lo sguardo puro dell'attore messicano donano un certo candore e idealismo al suo personaggio, ma l'alchimia con Kate/ Marley lascia a desiderare, soprattutto nella parte finale del film. A rubare la scena a Bernal - per i folli cinque minuti in cui è in scena - ci pensa Peter Dinklage: ecco, con lui nei panni del protagonista Il mio angolo di paradiso sarebbe stato davvero una rom com "diversa".

Movieplayer.it

2.0/5