Recensione Il figlio dell'altra (2012)

Un'opera emozionante che affronta temi cruciali tristemente contemporanei cercando le risposte nel cuore della gente comune e affidando le speranze per il futuro alle donne, le uniche in grado di spingere gli uomini ad essere migliori, di capire che quando non c'è un'alternativa possibile l'unica soluzione è tendere la mano verso l'altro.

La vita dell'altro

Neonati scambiati alla nascita, famiglie sconvolte, crisi d'identità. Un tema sicuramente già trattato in passato ma mai affrontato nei termini in cui la regista francese di origine ebrea Lorraine Lévy ha scelto di raccontarcelo. I due ragazzi coinvolti non sono semplicemente un musicista che sogna di arruolarsi nell'esercito e uno studente di medicina che vive a Parigi e sogna di aprire un ospedale per salvare le vittime della guerra. Joseph è israeliano e Yacine è palestinese. Nel giorno della loro nascita nel lontano 1991, nel pieno della Guerra del Golfo, l'ospedale di Haifa fu evacuato per motivi di sicurezza ma al rientro nelle stanze l'infermiera riconsegnò alle due mamme il bambino sbagliato. La verità sullo scambio di identità viene fuori durante la visita medica di Joseph per il servizio di leva nell'Aeronautica Militare israeliana, quando i medici scoprono che il suo gruppo sanguigno è incompatibile con quello dei genitori. Dalle indagini risulterà essere figlio biologico di Saïd e Leïla Al Bezaaz, i coniugi palestinesi che a differenza di Orith e Alon, che hanno una bella casa nei sobborghi di Tel Aviv, vivono nei territori occupati della Cisgiordania. Due genitori che dal canto loro hanno cresciuto Yacine, il figlio che ha vissuto fino a quel momento la vita che sarebbe spettata a Joseph. La rivelazione getta nel panico le due famiglie che da quel momento in poi saranno costrette ad interrogarsi sulle rispettive identità, sulle ragioni e sull'effettivo significato del conflitto politico e religioso che continua a dividere i due popoli.


Di scottante e drammatica attualità, Il figlio dell'altra è un film in cui la regista, ebrea di origini ma atea, né palestinese né israeliana, è riuscita a raccontare una storia così piena di risvolti attraverso un dramma familiare ed umano intenso e toccante dal largo respiro e dallo sguardo aperto verso il futuro. Il tutto senza mai prendere posizione né impartire lezioni, soprattutto senza pretendere di trovare risposte alla questione diverse da quelle dettate dal cuore della gente comune che vive il conflitto in prima persona nella quotidianità, affidando l'unica speranza di una risoluzione alle donne e alle giovani generazioni.

La sensazione è che la Lévy abbia cercato in tutti i modi di non fare un film politico ma di soffermarsi molto di più sul risvolto umano e familiare della vicenda, non una storia insomma che potesse contribuire ad esacerbare gli animi ma solo unicamente raccontare cosa accade quando israeliani e palestinesi sono costretti a guardarsi negli occhi senza vedere dall'altra parte il nemico. Il film funziona sotto tutti i punti di vista grazie alla regia misurata e ariosa della Lévy e all'ottima prova del cast, un gruppo multietnico di bravi attori, capitanato da una straordinaria Emmanuelle Devos, che riesce a mantenere i toni in equilibrio senza mai esasperare le situazioni o prestare il fianco a facili sentimentalismi. Un ruolo cruciale è giocato dalle numerose suggestive scene girate ai piedi del muro che divide Israele dalla Palestina, scene in cui la tensione si fa palpabile, in cui si susseguono perquisizioni e controlli di sicurezza che generano angoscia e pathos tenendo lo spettatore col fiato sospeso, soprattutto verso il finale, ingabbiato nell'attesa incombente di un evento tragico che spazzi via tutte le premesse concilianti fatte fino a quel momento. Una tensione giustificata dal fatto che sino all'ultimo la regista è stata in dubbio sul finale, rinunciando all'impatto emotivo dell'attentato in favore di una conclusione sospesa che apre con speranza lo sguardo verso l'orizzonte.
Ad essere esplorato con grande delicatezza dal film è l'effetto destabilizzante che travolge le vite di due famiglie che non riescono ad accettare il fatto che il loro figlio biologico, la carne della loro carne e il sangue del loro sangue, sia stato cresciuto oltre le linee nemiche, e che le conseguenze della battaglia che hanno sempre portato avanti con convinzione si siano loro rivoltate contro per colpa di un bizzarro scherzo del destino. Figli cresciuti con ideali e possibilità diverse, uno costretto a diventare uomo prima del previsto mentre l'altro rimasto un po' bambino perché cresciuto in un ambiente familiare super confortevole, uniti dalla voglia di vivere la vita normale degli uomini liberi. E poi ci sono i due padri, assolutamente incapaci di comunicare tra loro, uomini sopraffatti dalla verità e dal rancore etnico che preferiscono fuggire anziché affrontare il problema.
Il figlio dell'altra è un'opera emozionante che affronta temi cruciali tristemente contemporanei cercando le risposte nel cuore della gente comune e affidando le speranze per il futuro alle donne, le uniche in grado di spingere gli uomini ad essere migliori, di capire che quando non c'è un'alternativa possibile l'unica soluzione è tendere la mano verso l'altro. Dentro di loro Leila e Orith sanno che i figli che hanno allevato con tanto amore continueranno a essere loro figli e che il figlio cresciuto dall'altra non può essere ignorato solo perché è cresciuto dalla parte sbagliata della barricata. I legami di sangue vanno oltre qualsiasi barriera e decenni di conflitti non potranno mai fermare l'amore di una madre per suo figlio né potranno mai arginare il sogno di libertà di un ragazzo che combatte una guerra non sua.

Movieplayer.it

4.0/5