Recensione Il comandante e la cicogna (2012)

Silvio Soldini torna sul grande schermo con un film che, sebbene si possa inserire nella categoria delle commedie leggere, ha nel suo DNA i cromosomi stilistici e narrativi del cinema del suo autore, un cineasta alla continua ricerca di angoli di cielo reali e surreali da cui osservare il mondo e i suoi abitanti.

O si rifà l'Italia o si muore

Le città viste dall'alto, il volo sulle ali della fantasia, i problemi della vita di tutti i giorni osservati da un punto di vista più 'alto', che prova a farli sembrare minuscoli. Silvio Soldini torna sul grande schermo con un film che, sebbene si possa inserire nella categoria delle commedie leggere, ha nel suo DNAi cromosomi stilistici e narrativi del cinema del suo autore, un cineasta alla continua ricerca di angoli di cielo reali e surreali da cui osservare il mondo e i suoi abitanti. I titoli dei suoi film la dicono lunga riguardo a questo aspetto: Agata e la tempesta, Giorni e nuvole, Brucio nel vento, L'aria serena dell'ovest, Le acrobate. Opere appassionate e di ampio respiro e che volgono lo sguardo verso l'aria, verso una visione d'insieme che attribuisca la giusta dimensione ad ogni cosa. Proprio per questo motivo e per i simboli che rappresentano, ne Il comandante e la cicogna il ruolo di 'osservatori' è affidato alle statue di personaggi illustri del nostro passato, complementi d'arredo delle piazze delle nostre città che nessuno guarda più, e ad una cicogna. Le vicende dei tanti personaggi che popolano questa storia s'intrecciano sullo sfondo di una città che Soldini trasforma nell'emblema del nostro tempo, ed è sotto lo sguardo severo ed ironico delle statue di Garibaldi, Verdi, Leopardi, Leonardo da Vinci e del cavalier Cazzaniga, che dai loro piedistalli, da dove ne hanno viste davvero tante, commentano le sorti di un'Italia alla deriva sia dal punto di vista del paesaggio urbano che dal punto di vista morale.


Leo Buonvento (Valerio Mastandrea) è un idraulico le cui giornate sembrano non finire mai. Rimasto vedovo dopo un incidente avvenuto al mare durante le ferie estive, Leo si fa in quattro per mantenere i due irrequieti figli adolescenti Elia e Maddalena, il primo fissato con gli uccelli e amico di una cicogna di nome Agostina, la seconda alle prese con i primi focosi amori. Diviso tra i figli, i rapporti con il suo socio cinese Fiorenzo, che anziché dargli una mano ci mette il carico da undici per colpa di una fidanzata gelosa, e le incombenze di casa, Leo deve anche dimenarsi tra le tante incursioni notturne del fantasma della moglie Teresa (Claudia Gerini), appassionata di caffè e dispensatrice di consigli e perle di saggezza di cui l'uomo non riesce a fare a meno. Un uomo confuso e in guerra contro la vita che si sente sotto attacco e cerca di difendersi come può, esattamente come fa Diana (Alba Rohrwacher), una ragazza squattrinata e sognatrice che cerca di combattere contro le ingiustizie e di mantenersi vendendo le sue opere d'arte. In attesa della sua grande occasione cerca di cavarsela in maniera onorevole ma un po' confusa e di non far arrabbiare il suo padrone di casa Amanzio (Giuseppe Battiston) per via dei ritardi nel pagamento dell'affitto. Anche lui, Amanzio, non è troppo diverso da Leo e Diana nonostante l'apparenza autoritaria, specialmente da quando ha deciso di cambiare stile di vita e di lasciare il lavoro per dedicarsi all'originale missione di moralizzatore urbano e di paladino dell'esproprio proletario di merce scaduta dagli scaffali dei supermercati. In una delle sue crociate contro il degrado morale e ambientale Amanzio conosce il piccolo Elia con il quale stringe un'amicizia del tutto fuori dal comune, come fuori dal comune è l'incontro tra Leo e Diana negli uffici dell'avvocato imbroglione Malaffano (Luca Zingaretti) che si sta occupando in maniera non proprio pulita di una vicenda accaduta alla figlia di Leo e che ha commissionato a Diana un metaforico affresco che ritrae una giungla sulla parete del suo studio...

Sulla falsariga del lirismo romantico un po' grottesco di Pane e tulipani, Silvio Soldini chiude l'ideale trilogia sulla leggerezza strampalata dei sentimenti iniziata proprio con il pluripremiato film del 2000 e proseguita con Agata e la tempesta, interrotta solo temporaneamente da due film di tutt'altro genere come Giorni e nuvole e Cosa voglio di più. Il comandante e la cicogna non è che una moderna fiaba sull'Italia contemporanea narrata con leggerezza da Soldini attraverso personaggi estremi, interpretati da un cast di attori davvero formidabili, dotati di un'eccezionale normalità. Una storia tra le cui righe cogliamo un profondo senso di ribellione nei confronti dell'incombente senso di impotenza che attanaglia tutti noi in questo difficile momento storico. Il messaggio è chiaro: c'è un'esigenza impellente in questo momento, dobbiamo cercare di volare alto, di riscoprire noi stessi, i nostri sentimenti, il nostro passato storico e di sperare in un futuro migliore da costruire giorno dopo giorno credendo in noi stessi. Ed è per questo che Soldini ci regala un mondo fantastico in cui personaggi in carne e ossa, fantasmi, statue e animali potessero convivere e comunicare tra loro senza grossi problemi. Una cosa semplice a dirsi a parole ma complicatissima dal punto di vista pratico che Soldini porta a casa non senza difficoltà ma con un linguaggio cinematografico complesso e completo capace di entusiasmare lo spettatore. Il tutto mettendo in risalto l'eccentricità di personaggi e situazioni ai limiti del paradossale e lasciando solo accennato il dramma che si consuma nelle vite dei protagonisti che ad un certo punto si ritrovano ad unire le proprie forze per contrastare con il malcostume e il malaffare che cerca di insinuarsi nelle loro esistenze.

Anche le statue fanno quadrato contro il decadimento culturale e morale della nostra povera Italia. E così il bronzo luccicante e la saggezza del Garibaldi 'torinese' si affiancano a quelle del Leopardi e Leonardo (doppiati magistralmente da Pierfrancesco Favino, Neri Marcorè e Gigio Alberti) per contrastare il marmo opacizzato del suo vicino di piazza, il cavalier Cazzaniga, che racchiude nella sua insofferenza tutte le sfaccettature dell'odierno disagio sociale. Il tutto in un duello a suon di frecciatine, che si snocciolano con un ritmico susseguirsi di piani sequenza circolari seguiti da un continuo campo e controcampo sui volti pietrificati, di quelli davvero memorabili; momenti in cui le statue sembrano prendere vita che donano alla storia un piacevole elemento di originalità e surrealismo che bene si accompagnano con la frizzante colonna sonora della Banda Osiris. Osserva tutto dall'alto la cicogna Agostina, contempla sia il comandante Garibaldi con i suoi colleghi di bronzo immobili sia suoi amici in carne e ossa, senza esprimere né pareri né giudizi ma limitandosi ad attirare l'attenzione e l'amorevolezza di tutti. La bella notizia è che esistono ancora i sogni e le speranze e sono ad uso e consumo esclusivo degli umani. Qualcuno dei nostri eroi 'vivi' non ha smesso di sognare e di sperare nel futuro. Il piccolo Elia ad esempio, che insegue il volo di Agostina continuando a domandarsi se lei sa che lui non può volare o se pensa che non abbia voglia di seguirla.

Movieplayer.it

3.0/5