Recensione I più grandi di tutti (2011)

Una commedia gradevole che omaggia l'hard rock cafone di provincia e racconta in maniera tenera e fantasiosa le disavventure amorose e musicali di un gruppo di provinciali disadattati alle prese con l'utopia del rock'n'roll, ragazzi che hanno visto sfumare i loro sogni di gloria e che ancora oggi cercano conferme.

Sogni di rock'n'roll

Quindici anni fa i Pluto erano una rock band della provincia livornese, energica e spudorata, con un buon seguito di pubblico. Da Rosignano Solvay, cittadina industriale del litorale toscano, era partita l'avventura che li aveva portati in lungo e in largo nel circuito alternativo nazionale, inciso un paio di album, fatto decine di concerti e persino realizzato un brano per lo spot televisivo di un anticalcare. Voce, chitarra, basso e batteria: Mao, Rino, Sabrina e Loris, quattro amici e un solo gruppo che per un motivo o per l'altro ad un certo punto si è sciolto. Ognuno di loro ha preso strade diverse, tutte inconcludenti. Nessuno ha realizzato il suo sogno di rock'n'roll, ma sono tutti ancora alla ricerca di un'identità, qualcuno è persino ancora alla ricerca di un lavoro, altri sbarcano il lunario come possono. Quel che è certo è che sono ormai quindici anni che non si vedono più. Per tutti e quattro l'esperienza dei Pluto è ormai solo un ricordo, almeno fino a quando un loro grande fan, uno pseudo-giornalista e critico musicale che conosce ogni dettaglio anche della loro vita privata, non li contatta per riunire il gruppo e realizzare un rockumentary sul loro passato, un'operazione che li porterà verso un ultimo memorabile concerto. Neanche fossero i Rolling Stones...


Cantante e autore in un gruppo livornese, gli Snaporaz, nato negli anni '90 con cui ha anche inciso alcuni album, Carlo Virzì è stato anche autore di colonne sonore e sceneggiatore per il cinema prima di esordire alla regia nel 2006 con L'estate del mio primo bacio. Dopo cinque anni torna sul grande schermo con I più grandi di tutti, una storia che racconta molto di sé, delle sue passioni, della zona in cui è nato e vissuto, della sua generazione, della musica. Una commedia gradevole che omaggia l'hard rock cafone di provincia e racconta in maniera tenera e fantasiosa le disavventure amorose e musicali di un gruppo di provinciali disadattati alle prese con l'utopia del rock'n'roll, ragazzi che hanno visto sfumare i loro sogni di gloria e che ancora oggi cercano conferme. Li ritroviamo a quindici anni di distanza persi nell'oblio della vita di tutti i giorni, spogliati della loro anima rockettara, frustrati, senza meta, insomma quattro bischeri buoni a nulla con poca autostima. Uno vive arrangiandosi, un altro lavora in fabbrica, mentre la bassista del gruppo fa la mantenuta e il cantante vive ancora come un tempo, barman in un locale ancora perso dietro ai suoi sogni da star.

Una commedia allegramente folkloristica, ma soprattutto una storia d'amore tra quattro ragazzi e la musica, in cui quest'ultima non è solo lo sfondo della storia ma ha un ruolo cruciale nel percorso umano e psicologico dei protagonisti, che non hanno ancora voltato pagina e chiuso i conti con un'epoca spensierata, ancora bloccati nell'incapacità di dimostrare un po' di fiducia in loro stessi.
Un film nel complesso divertente con alcuni momenti davvero geniali (su tutti il testo della canzone d'apertura del concerto finale) che però soffre di poca fluidità nella narrazione e di qualche forzatura di troppo nella sceneggiatura: quella più urticante è senz'altro quella che riguarda il personaggio chiave del film interpretato da Corrado Fortuna, il giornalista ammiratore appassionato e devoto, immobilizzato su una sedia a rotelle dopo un grave incidente accauduto mentre andava ad un loro concerto. In poche parole un ricatto vivente per i Pluto che per egoismo e un senso di colpa che incombe sulle loro teste non riescono a dirgli di no. Non convince la sua sbrigativa uscita di scena nel momento cruciale della reunion, non convince la scrittura dei dialoghi che lo riguardano, non convince la cadenza dialettale fortemente siciliana di Fortuna, attore di talento forse non proprio in sintonia con il suo personaggio, che alla fine risulta un po' troppo caricaturale, al contrario dei quattro protagonisti principali che riescono sullo schermo a creare una bella alchimia.
Sulla scia romantica di The Commitments e con la voglia di omaggiare film irripetibili come The Blues Brothers e Quasi Famosi, Virzì realizza forse il primo film musicale italiano che cerca di parlare di una generazione attraverso i sogni infranti di un gruppo musicale in un Paese in crisi in cui la musica è morta, insieme alla cultura in generale ed alla critica musicale, ammuffita e incapace di rinnovarsi; un Paese in cui non c'è futuro per chi sogna, tanto meno per chi sogna in grande.

Movieplayer.it

3.0/5