Recensione Gloria (2012)

Sebastian Lelio affronta con naturalezza e senza falsi pudori il tema dell'amore e del sesso alla soglia della terza età stemperando con lievi tocchi di ironia i momenti critici della storia.

Una donna tutta sola

Negli ultimi anni il cinema cileno si è rivelato una delle realtà più vitali nel panorama internazionale. A fianco di autori politicamente orientati - un nome per tutti, Pablo Larrain - si è sviluppato un cinema intimista e personale che ci ha regalato gioielli come La vida de los peces di Matias Bize, passato in sordina alla Mostra di Venezia nel 2010. A confermare la tendenza ci pensa Gloria di Sebastian Lelio, prima pellicola del concorso della Berlinale capace di convincere fino in fondo. Il film, prodotto proprio da Pablo Larrain, racconta con linguaggio diretto ed essenziale la ricerca dell'amore in età avanzata aderendo totalmente al punto di vista della sua protagonista. Gloria - nome di per sé cinematograficamente evocativo visto che ricorda un'altra donna forte, di cassavetessiana memoria, interpretata da quella straordinaria attrice che è Gena Rowlands - è una donna di mezza età che non si è ancora arresa alle ferite inferte dall'esistenza. A quasi sessant'anni, due figli grandi e un ex marito inaffidabile e umorale, Gloria va in cerca dell'amore frequentando numerosi uomini in attesa di trovarne uno giusto per lei. Moderna, indipendente e piena di voglia di vivere, Gloria è in grado di rialzarsi dopo ogni delusione e camminare con le proprie gambe anche quando intorno a lei nessuno sembra in grado di farlo.


Sebastian Lelio affronta con naturalezza e senza falsi pudori il tema dell'amore e del sesso alla soglia della terza età accarezzando con l'obiettivo i corpi imperfetti dei suoi attori e stemperando con lievi tocchi di ironia i momenti critici della storia. Il corpo di Gloria, in particolare, è al centro di ogni singola inquadratura. Questa adesione quasi voyeuristica del regista alla sua musa ci permette di sposare fino in fondo il punto di vista di una donna che non ha paura di vivere le proprie emozioni né di mostrare i propri difetti. Paulina Garcia, coraggiosa come il personaggio cucitole addosso da Lelio, con questa performance ipoteca l'Orso d'argento. L'attrice si dimostra abilissima nel sostenere i primi piani insistiti del regista intento a esplorare ogni suo stato d'animo, ogni minimo cambiamento di umore, per mettere a nudo il suo corpo e la sua anima. La scelta di campo di Sebastian Lelio è talmente netta e la sua protagonista talmente carismatica da degradare inevitabilmente tutti i personaggi che le ruotano attorno a semplici comprimari, compreso Rodolfo, l'uomo con cui intreccia una tormentata relazione, ma da cui si separa in un moto di orgoglio. Il suo 'saluto' definitivo all'uomo sarà oggetto di una delle scene più divertenti del film. Nel finale catartico Gloria si abbandona a una danza sfrenata in una pista da ballo in cui risuona la versione latina di una hit italiana degli anni '80, quel Gloria di Umberto Tozzi che, grazie alla creatività di Sebastian Lelio, si trasforma in un simbolico inno di autoaffermazione.

Movieplayer.it

4.0/5