Recensione Flight (2012)

Robert Zemeckis, dopo un decennio di cinema di animazione, torna al live action con una pellicola che mostra tutti i crismi della classicità, con una forte tensione morale e la prova di un ottimo Denzel Washington.

Eroismo e dannazione

Whip Whitaker è un pilota provetto, discendente da una famiglia di piloti e con alle spalle una solida esperienza sui voli di linea. Whip, però, ha anche un serio problema di alcolismo, di cui rifiuta a tutti, in primis a sé stesso, di ammettere l'esistenza. Separato da sua moglie, e con un figlio che vede solo sporadicamente, l'uomo ha incontri occasionali con l'assistente di volo Katerina: è proprio dopo aver passato la notte con lei, al termine di una serata ad alto tasso alcolico, che Whip sale sul volo che sarà destinato a cambiargli la vita. Durante il viaggio, infatti, il jet inizia a mostrare una serie di malfunzionamenti: per motivi non chiari, il velivolo trema e perde progressivamente quota, rischiando di precipitare. Nonostante la progressiva avaria dei motori e la sequenza impressionante di guasti, l'abilità e il sangue freddo di Whip riescono a limitare i danni, con un atterraggio di fortuna che salva la vita di 96 delle 102 persone presenti. Ricoverato, Whip viene considerato dall'opinione pubblica un eroe: ma i test sul suo sangue, e il rinvenimento in esso di tracce di alcol e cocaina, creeranno presto all'uomo una spirale di problemi. Nel frattempo, Whip conosce Nicole, donna tossicomane con cui trova subito un'affinità.


La pellicola che segna il ritorno di Robert Zemeckis al cinema live action, dopo un decennio in cui il regista si è dedicato all'animazione in performance capture, viene lanciata in Italia come "il film più provocatorio dell'anno". Descrizione quantomeno curiosa per una pellicola che mostra, al contrario, tutti i crismi della classicità hollywoodiana: nato da uno script con oltre 10 anni di vita (lo sceneggiatore John Gatins lo concepì nel 1999) Flight è un solido dramma morale, che vede al centro i personali fantasmi di un uomo alle prese con la dipendenza dall'alcol, che cerca in tutti i modi, senza riuscirci, di sfuggire alle sue responsabilità. E' la personale odissea del protagonista, interpretato da Denzel Washington, a costituire infatti il centro motore della storia: con una morsa che lentamente vediamo stringersi intorno a lui, il suo ostinato rifiuto a prendere atto dei suoi problemi che dovrà scontrarsi con l'evidenza dei fatti ricostruiti dall'indagine. Anche il suo incontro con Nicole, personaggio che al contrario di lui sta cercando faticosamente di risalire la china, sarà per l'uomo un ulteriore stimolo a prendere coscienza di sé e della sua condizione. Temi non certo nuovi, abbondantemente masticati e rielaborati da decenni di cinema hollywoodiano (la parabola morale di certe storie di John Ford e Howard Hawks è dietro l'angolo) così come la costruzione del personaggio di Whip, eroe fragile i cui meriti non gli risparmieranno la richiesta di espiazione delle sue colpe. In effetti, una religiosità invero un po' confusa nella trattazione (in certi punti l'elemento autoironico sembra prevalere) rappresenta uno dei temi sottesi all'intera narrazione.

La messa in scena è anch'essa all'insegna della classicità, tutta tesa a dare spazio alla recitazione di un intenso ed efficace protagonista; tuttavia, nella lunga sequenza del volo Zemeckis dà una prova (ulteriore) di tutte le sue capacità tecniche: un saggio di tensione e claustrofobia filmica di gran classe, assolutamente sconsigliato (e non è una battuta) a chi avesse problemi con gli aerei. Il resto della pellicola si concentra sulla vicenda umana del protagonista, contorniato da nemici (i rappresentanti della compagnia aerea, decisi ad avere la sua testa) e amici (il rappresentante sindacale col volto di Bruce Greenwood, il divertente spacciatore interpretato da John Goodman). Zemeckis innalza abilmente e progressivamente la temperatura emotiva della narrazione, fino a giungere a un finale (in cui il film flirta con la tradizione del legal movie) in cui il protagonista si troverà di fronte a un dilemma morale dirimente. Ciò che si rivela interessante, nella descrizione della figura di Whip, è la dialettica tra eroismo e colpevolezza, che fa oscillare il personaggio dall'una o dall'altra parte a seconda dell'ottica di chi lo osserva; dialettica che troverà una ricomposizione nel finale.
I limiti di una pellicola comunque intensa ed interessante stanno tuttavia in una sceneggiatura non perfetta, che non approfondisce alcune tracce suggerite (il già citato - e un po' pretestuoso - substrato religioso, il ragionamento sul destino) e lascia irrisolti alcuni subplot (primo tra tutti la love story, un po' convenzionale nello svolgimento). La stessa figura del personaggio interpretato da Goodman sembra poco più che un elemento di colore, nonostante faccia sempre piacere ritrovare sullo schermo la gigantesca (in tutti i sensi) figura dell'attore (e in questa stagione è già la terza volta, dopo i contemporanei Argo e Di nuovo in gioco).
Una chiusura della vicenda intelligente e non scontata, insieme a un finale emotivamente forte, contribuiscono comunque a far pendere, per questo Flight, il piatto della bilancia dal lato positivo; qualche limite di script non intacca la sostanziale riuscita del ritorno al cinema "in carne ed ossa" di Zemeckis, che dirige con personalità una storia che, in mano ad altri, sarebbe risultata piuttosto anonima. La gradita conferma, quindi, della presenza intatta (anche qualitativa) di uno dei protagonisti del cinema hollywoodiano degli ultimi decenni.

Movieplayer.it

3.0/5