Recensione Either Way (2011)

Un piccolo grande esordio quello del giovane regista di Reykjavik, un film intenso, essenziale e incisivo, di quelli che vorresti non finissero mai.

Il cielo d'Islanda è dentro di te

Nel desolato e spoglio nord dell'Islanda degli anni Ottanta, Finnbogi e Alfred sono due operai della manutenzione stradale che passano l'estate a disegnare linee gialle tratteggiate e continue sull'asfalto e a piantare paletti di legno. Soli con i loro dubbi e le loro storie, immersi nello sconfinato paesaggio lunare che li circonda, i due cercheranno in tutti i modi di far scorrere il tempo più velocemente possibile ascoltando musica a tutto volume, concedendosi qualche sana bevuta calorica e parlando di donne, d'amore, di sentimenti e di futuro. Sebbene molto diversi tra loro per età e mentalità, i due impareranno a comunicare, a conoscersi e a rispettarsi fino alla nascita di un'inaspettata bizzarra amicizia.

Film d'esordio per il trentatreenne regista islandese Hafsteinn Gunnar Sigurðsson, laconico erede di Kaurismaki che con due soli personaggi e una comicità molto nordica ci regala un gioiellino di rara bellezza visiva e di rara intensità emotiva. A metà tra la commedia e il dramma, Either Way è giocato molto sui silenzi, sugli sguardi, sulla condizione di isolamento dei due uomini che sistemano strade in cui non passa mai nessuno e che trasformano quel terreno arido ed apparentemente inospitale in un parco giochi avventuroso e talvolta insidioso, tutto da scoprire, in cui è più facile guardarsi dentro e trovare sè stessi.
Co-produzione low-budget tra Islanda e Gran Bretagna, Either Way (che letteralmente può essere inteso come 'in un modo o nell'altro') è un film deliziosamente autentico, girato con grande maturità e grande senso estetico da Sigurðsson, che grazie al formato panoramico ha trasformato questa storia d'amicizia quasi in un film fantascientifico, con i due protagonisti alla pari di due alieni che cercano in tutti i modi di conoscersi ed entrare in contatto. Azzeccatissima la scelta di ambientare la storia nei mitici anni Ottanta, un'epoca in cui per comunicare si mandavano ancora le lettere scritte a mano, in cui per mandare dei soldi non bastava un click o una strisciata della carta di credito, un'epoca di grande sperimentazione, sia musicale che nella moda. Un passato e un presente che si scontrano nei gusti musicali dei due protagonisti, che contrappongono il rock al pop elettronico e neomelodico, ma soprattutto nel loro modo di pensare e di vestire.
Sorretto dalle intense e buffe interpretazioni dei due protagonisti Hilmar Guðjónsson e Sveinn Ólafur Gunnarsson (il più 'anziano' dei due, anche co-sceneggiatore del film insieme al regista) bravissimi nell'instaurare con lo spettatore una grandissima empatia, Either Way sorprende per la sua semplicità, per la scorrevolezza della narrazione e si trasforma in qualcosa di davvero raro quando entra in scena il personaggio del camionista, un uomo baffuto e senza peli sulla lingua che ogni tanto li va a trovare portando loro i rifornimenti di alcol, coca cola e rassicurandoli con perle di saggezza di grande efficacia. Un piccolo grande esordio quello di Sigurðsson, un film intenso, essenziale e incisivo, di quelli che vorresti non finissero mai.

Movieplayer.it

4.0/5