Recensione Dream Team (2012)

Un commedia super popolare da un regista eclettico con alcuni dei volti più noti tra i comici francesi che hanno fatto gol al botteghino in Francia. Pellicola sin troppo leggera e senza pretese, protagonista il calcio che da sempre garantisce entusiasmi e infiamma il pubblico.

Gol e risate alla francese

Forte del clamoroso successo ottenuto in Francia con oltre 25 milioni di euro al botteghino, arriva anche da noi questa commedia che schiera alcuni tra i più noti comici del cinema d'oltralpe, in formazione tipo diretti da un allenatore che non t'aspetti, quell'Olivier Dahan regista, oltre che del poco riuscito I fiumi di porpora 2, soprattutto dell'acclamato La Vie en Rose (oscar a Marion Cotillard) e ancora dell'imminente e attesissimo Grace di Monaco con Nicole Kidman nella parte della principessa. Sorprendente vedere appunto la firma autoriale di Dahan, regista evidentemente eclettico e con la propensione al rinnovamento, avventurarsi sul registro della commedia popolare a largo consumo, spinto magari, oltre che dal desiderio di cimentarsi con un genere caro alla tradizione francese, anche dal fatto di poter mettere insieme appunto un dream team di stelle nazionali, oltretutto impegnate in un football film super popolare: si sa che il calcio per noi europei, oltre che metafora della vita, è un tema che di sicuro garantisce entusiasmo e attrattiva. Ed in Francia infatti il film ha fatto sfaceli.


Patrick Orberà (José Garcia) ha cinquant'anni ed è una vecchia gloria del calcio la cui vita è allo sbando. Senza lavoro, senza soldi e con il vizio del bere, ha un ultima occasione per risalire la china e soprattutto riavere dal giudice il diritto di vedere la figlia: partire per una piccola isoletta in Bretagna e allenare la squadra di calcio locale. A loro volta, i simpatici isolani non se la passano troppo bene: la fabbrica di sardine, sostentamento e unica fonte di economia dell'isola, è sull'orlo del fallimento e l'unica occasione per salvarla è quella di passare con la loro squadretta i turni preliminari della Coppa di Francia. Trasformare dei pescatori in calciatori semi-professionisti è un'impresa non da poco, e Orberà decide di chiedere aiuto ai suoi vecchi compagni di squadra per riuscire nell'impresa. Le vecchie glorie, chi più chi meno, hanno tutti un bel po' problemi dopo aver lasciato il calcio, per cui il mister avrà il suo bel da fare per riportare alla luce il campione che è in loro.

Ennesima dimostrazione che i francesi sanno pensare in grande e sanno rifare all'europea una commedia di genere che in America abbiamo già visto in tutte le salse, dal football (Le riserve con Keanu Reeves), al baseball soprattutto (Major League - La squadra più scassata della lega con Charlie Sheen), o a qualsiasi altro sport a stelle e strisce ma anche no (i giamaicani sul bob di Cool Runnings - Quattro sottozero della Disney). Questi solo per citare i primi titoli che vengono in mente, ma ce ne sono un'infinità: la squadra sgangherata che dopo le difficoltà iniziali, grazie all'insospettabile talento e alla buona volontà, riesce nell'impresa di vincere contro pronostico, se non sul campo almeno nella vita, perché più che il risultato sportivo conta quello umano. Quindi ineccepibile l'operazione commerciale, talmente buona l'idea da stupirsi che i produttori non ci abbiano pensato prima di adesso, scontato il successo, per lo meno in patria: un film senza pretese se non quelle di incassare e divertire con leggerezza.
La perplessità semmai riguardano le presunte ed eventuali velleità artistiche, soprattutto come detto per la presenza di un regista come Dahan dietro la macchina da presa, perché, ammesso che ce ne fossero, in realtà non è dato accorgersene. Nel senso che regista e attori sembrano essere talmente certi che il film funzioni a prescindere, che si dimenticano di fare almeno un po'di cinema e di sviluppare l'idea, di fare gioco di squadra tra di loro e soprattutto con il pubblico. Ci si dimentica ad esempio di scrivere qualche battuta o qualche dialogo che siano di per sé più brillanti o non immediatamente dimenticabili (oltretutto da noi penalizzati sicuramente dalla traduzione e dal doppiaggio): di cercare una comicità che non si affidi solo ed esclusivamente alla fisicità e alla caratterizzazione dei personaggi insomma, che danno vita ad una serie scollata di gag alla fine piuttosto ripetitive e banali.
Gli attori stessi, come detto popolarissimi in Francia, sono interpreti che per estrazione sono più portati verso il one man show (Franck Dubosc e Gad Elmaleh, ma anche Ramzy e lo stesso Omar Sy, prima ancora che attori, appartengono in Francia alla categoria dei cosiddetti humoristes, comici che hanno avuto successo prima in tv e alla radio e poi al cinema riproponendo nei lungometraggi i loro personaggi e tormentoni televisivi): un po' come se da noi facessero un dream team con tutti gli attori usciti da Zelig. Il rapper JoeyStarr ovvero Didier Morville, è il più autoironico nella parte del ragazzaccio cattivo ed ex galeotto, lui che in Francia è soprannominato Joey le Bad Boy e i problemi con la giustizia ce li ha davvero. Il protagonista Jose Garcia oltre alla voce ha pure la stessa faccia di Francesco Pannofino. Va bene la commedia leggera e la consapevolezza di non dover fare un film indispensabile per stessa ammissione del regista, ma sui generis il cinema britannico per esempio, da Ken Loach a Full Monty, ci ha regalato deliziose commedie tutt'altro che dimenticate di proletari alla riscossa, di squattrinati organizzati o perdenti resuscitati, strappando risate vere senza rinunciare a toni più agrodolci, a una scrittura un minimo più brillante o qualche excursus nelle pieghe dell'animo dei protagonisti.
In realtà è tutto talmente prevedibile e perfetto sulla carta, che in un certo senso ci si dimentica di raccontare la storia, c'è come un certa fretta di arrivare alla fine, alla catarsi e alla redenzione dei personaggi: ci si dimentica persino di filmare di più la Bretagna e di sfruttare la location bucolica come fattore determinante nella conversione dei protagonisti. Il nostro Orberà non fa in tempo a toccare il fondo che già sta risalendo la china, si ritrova convertito e devoto alla causa dell'isola senza neanche essersi scontrato un minimo con l'adattamento alla nuova realtà, la classica prima parte in cui di solito nascono le situazioni più surreali e le gag più saporite in questo tipo di commedia: ci si dimentica di descrivere quegli attimi e quei momenti tra le righe, sia teneri che divertenti, che ci diano il tempo di affezionarci ai personaggi e alle loro sorti di vita, di amore e di calcio. Al fischio finale si porta a casa sicuramente il risultato ma la sensazione è quella di un pareggio senza grandi emozioni.

Movieplayer.it

3.0/5