Recensione Diana - La storia segreta di Lady D (2013)

Hirschbiegel non conosce il suo personaggio e non nutre per lui particolare passione. Il disinteresse si avverte in ogni singola inquadratura e, così facendo, consegna al cinema non una narrazione priva di giudizio ma una sorta di compito mal riuscito, svolto per puro dovere

Being Lady D

Dal giorno del matrimonio reale, trasmesso per la prima volta nella storia della televisione in mondovisione, fino a quello della sua morte Diana Spancer, Principessa del Galles, è stata capace di trasformarsi da sprovveduta ragazza di "buona famiglia" nella donna più famosa del mondo. Perché, dalla fine degli anni ottanta a gran parte dei novanta, non c'è stata attrice internazionale capace di competere con lei per la conquista delle prime pagine dei giornali o per la corte fin troppo asfissiante dei paparazzi. Così, mentre lei si dedicava alle sue missioni umanitarie - particolarmente nota tutta l'attività per fermare la produzione delle mine anti uomo - e ad ottenere un divorzio stellare dal fedifrago Carlo, Dior creava per lei la D Bag, Versace la eleggeva a sua personale musa di stile e l'opinione pubblica si affannava ad esprimere la propria opinione sul destino della Principessa triste. Un'attività in grande fermento che sembra non essersi arrestata del tutto nemmeno dopo il suo incidente con il presunto fidanzato Dodi Al-Fayed sotto il tunnel dell'Alma a Parigi. Anzi, morendo bella e giovane a 36 anni, Diana è entrata di diritto nel pantheon delle icone pop, rappresentando ancora una fonte inarrestabile di chiacchiere e curiosità. A dimostrarlo è l'inchiesta riaperta ultimamente intorno ai fatti di quel 31 agosto 1997, i molti libri scritti, le confessioni di ex amanti pagate a peso d'oro e l'attaccamento alla sua bellezza da parte di chi, guardando la sgraziata Camilla, ancora si lancia in confronti impietosi tra le due.


A questo punto era solo questione di tempo prima che anche il cinema dicesse la sua sullo strano destino di Lady D. Viene, però, spontaneo chiedersi per quale motivo un regista come Oliver Hirschbiegel, noto soprattutto per il rigore drammatico del suo La caduta - Gli ultimi giorni di Hitler, si sia lasciato coinvolgere nella ricostruzione di un personaggio così fortemente pubblico e lontano dal suo interesse personale. Perché il progetto, voluto dai produttori della Ecosse Films e scritto da Stephen Jeffreys, ha mostrato chiaramente i segni dell'insuccesso fin dai primi passi. Nonostante la volontà di concentrarsi su un momento particolare della vita della Principessa, come il rapporto con il cardiochirurgo pakistano Hasnat Khan e l'inizio del suo impegno sociale, il rischio di costruire un prodotto quanto meno inutile era altissimo. Se poi a questo pericolo si aggiunge la certezza di una sceneggiatura romanticamente scontata interamente strutturata su notizie già ampiamente ascoltate e sui ricordi dei soliti stretti collaboratori, non si lascia un gran margine di successo all'impresa. Il fatto è che, guardando le immagini di Diana - La storia segreta di Lady D ci si chiede costantemente quale nuovo tassello o punto di vista diverso questa pellicola possa aggiungere ad una storia ampiamente raccontata dai tabloid o dagli speciali televisivi. In realtà non c'è nulla di originale nella narrazione come nella regia che, tra primi piani e controcampi, sembra annoiarsi di sé stessa quanto del soggetto filmato. Hirschbiegel non conosce il suo personaggio e non nutre per esso particolare passione. Il disinteresse si avverte in ogni singola inquadratura e, così facendo, consegna al cinema non una narrazione priva di giudizio ma una sorta di compito mal riuscito e svolto per puro dovere.

Però, oltre i dialoghi da soap opera, la regia quasi infantile e la totale assenza di personalità, ciò che realmente dequalifica il film è l'interpretazione di Naomi Watts. Non si tratta di un giudizio ferocemente rivolto alle sue qualità d'interprete. Il problema è che, in questo caso, l'attrice non riesce a tener testa alla stessa Diana e alla mitologia visiva creata intorno alla sua figura. L'immagine della principessa è già fortemente cinematografica e, facendo parte di un immaginario collettivo, è quanto meno impossibile riuscire a riprodurre un riflesso che sia somigliante all'originale e non un chiaro "fake". Partendo da questi presupposti, dunque, si comprende immediatamente l'effetto dissonante prodotto da una Watts che, pur indossando gli stessi abiti, non riesce a staccarsi dal suo corpo per vestire quello del personaggio. Il trucco c'è e si vede immediatamente fin dalle prime immagini in cui camminata e postura non riflettono le la proverbiale eleganza immortalata da molti, fallendo anche nel tentativo di rintracciare quel fascino naturale e timido capace di creare il mito. In questo modo nemmeno per un minuto si crede "all'inganno" della rappresentazione e mai si entra in empatia con un personaggio che non si avverte veritiero ed onesto. Un limite enorme e definitivo per un'arte come quella cinematografica che, proprio sulla capacità di creare illusioni e magie dal trucco invisibile, ha costruito gran parte della sua efficacia.

Movieplayer.it

2.0/5