Recensione Cose dell'altro mondo (2011)

Patierno mette il dito nella piaga mostrando come, in un paese grossolanamente razzista e disorganizzato come l'Italia, la scomparsa degli immigrati paralizzi anche l'efficiente Nord, ma il regista non affonda la lama affrontando la questione solo in modo superficiale.

Immagina che...

E se un giorno i sogni proibiti della Lega Nord si avverassero e tutti gli immigrati, regolari e irregolari, si volatilizzassero improvvisamente sparendo da un'operosa cittadina del Nord Est, dalla Pianura Padana e dall'Italia intera che cosa accadrebbe? Il napoletano Francesco Patierno prova a rispondere a questa domanda con una commedia che strizza l'occhio alla fantapolitica più spinta toccando argomenti come immigrazione e integrazione, il tutto in maniera totalmente innocua. A rappresentare i due pilastri di Cose dell'altro mondo troviamo Diego Abatantuono e Valerio Mastandrea. Il primo è chiamato a interpretare un personaggio macchiettistico, un industriale veneto razzista e fedifrago che ha il vezzo di maltrattare verbalmente i suoi dipendenti con giochi di parole e insulti che finiscono puntualmente in una tramissione in onda sul web. Il secondo si cala nei panni di un agente di polizia stropicciato e single da quando ha tradito la bella fidanzata (Valentina Lodovini) che lo ha lasciato per mettersi con un aitante extracomunitario.


Patierno mette il dito nella piaga mostrando come, in un paese grossolanamente razzista e disorganizzato come l'Italia, la scomparsa degli immigrati paralizzi immediatamente anche l'efficiente Nord. Spariti spazzini, badanti, manovali, operai e autisti, la città si trasforma in un gomitolo di strade bloccate dai mezzi pesanti e dall'immondizia, invase da vecchietti spaesati e privi di assistenza. La critica a certe filosofie propagandistiche urlate ai quattro venti da ministri e senatori per accumulare voti è netta e la scelta di buttarla sul ridere sdrammatizzando la questione non è certo sbagliata, ma il regista non affonda la lama affrontando la questione solo in modo superficiale. Se sul piano di critica sociale non si va oltre una raffica di gag e siparietti che strappano più di una risata, alle ripercussioni dell'inspiegabile scomparsa a livello globale si aggiungono quelle nel privato dei tre personaggi principali, personaggi le cui motivazioni non vengono adeguatamente approfondite. Paradossalmente lo stereotipato Abatantuono, il cui Golfetto è un incrocio tra le varie maschere di nordico sborone interpretate dall'attore nel corso della sua carriera comica e qualche politico leghista, il poliziotto romano che fa ritorno dalla madre di Mastandrea e la maestrina progressista incarnata dalla Lodovini restano privi di un'identità ben definita.

Ariele/Mastandrea risulta efficace nonostante tutto perché là dove mancano indicazioni di regia decisive nella costruzione del personaggio, l'esperto attore ci mette del suo attingendo ai vari ruoli da sfigato che finge di essere un duro, ma sotto sotto ha un cuore d'oro, che lo hanno reso celebre. Più sfortunata la Lodovini che in ogni scena ambigua e problematica, a cominciare dalla scoperta della scomparsa del fidanzato, riesce solo a sfoderare il suo bel sorriso. Patierno getta qua e là semi di potenziale interesse (dalla gravidanza interrazziale al ritorno di fiamma per Ariele fino al sorprendente confronto finale con Abatantuono), ma senza permettere loro di germogliare e il finale aperto in questo caso, più che lasciare allo spettatore il compito di colmare le lacune, ha un sapore di incompiuto.A tratti il film sembra quasi perdere la bussola girando spesso a vuoto e lasciando qua e là vuoti narrativi e la fotografia piatta e grigia non aiuta certo a rendere accattivante il tutto, ma oltre alla naturale simpatia degli interpreti, un'ulteriore nota di merito proviene dalle musiche di Simone Cristicchi, vivaci e azzeccate senza mai risultare invasive.

Movieplayer.it

2.0/5