Recensione Ci vuole un gran fisico (2013)

Angela Finocchiaro fa il possibile, ma la sua bravura nel gestire al meglio tutte le sfaccettature del suo personaggio non basta a reggere una commedia che ha sì qualche trovata intelligente, ma che nel complesso risulta sgraziata, sprovvista di fluidità e di concretezza narrativa.

Uomini che rottamano le donne

Eva (Angela Finocchiaro) ce la mette tutta per arrivare al suo cinquantesimo compleanno più in forma possibile, ma per una donna single non più giovanissima non è affatto semplice sostenere il peso della famiglia tutto sulle proprie spalle. Per Eva c'è il mutuo da pagare, la spesa da fare, la casa da riordinare, una mamma tutto pepe (Rosalina Neri) e una figlia adolescente da tenere a bada (Antonella Lo Coco) e addirittura un ex-marito (Elio) che non è mai cresciuto e che da anni fa il mantenuto in casa sua. Per di più ogni mattina Eva deve fare i conti con uno spregevole capo (Raul Cremona) che non fa che rimproverarla e minacciarla di licenziamento perché già decrepita, con una collega super sexy (Laura Marinoni) che i suoi cinquant'anni li porta con estrema disinvoltura e con l'esigente clientela del reparto profumeria dei grandi magazzini, sempre in cerca del cosmetico miracoloso. Tra improbabili esercizi di ginnastica facciale per scongiurare il botox e quantità industriali di creme antirughe, Eva cerca di attenuare gli implacabili segni del tempo sul suo viso per non sentirsi come la sua auto: stanca, vecchia e da rottamare il prima possibile. Può un'ex-femminista convinta come lei deprimersi così solo perché il fisico accusa il colpo dell'età e perché per l'altro sesso sembra diventata invisibile? Sognare una seconda occasione in amore si può, e anche diventare un po' più sicura di sé, basta prendere in mano la situazione e aprire il cuore, e nei momenti più bui chiedere aiuto all'angelo della menopausa (Giovanni Storti) una sorta di genio della lampada che la aiuterà a realizzare i suoi desideri e a ritrovare in se stessa la gioia di vivere una seconda giovinezza del cuore.


Nell'Italia in cui il lavoro è purtroppo ancora un privilegio di poche e il sessismo, in particolare quello sul posto di lavoro, è un'amara realtà, arriva in sala un'opera prima che se ne frega del sex appeal e che con uno sguardo tutto proiettato al femminile riesce a parlare di menopausa, rughe, sessualità nella terza età e lavoro senza farsi troppi scrupoli. Quello di Sophie Chiarello, regista francese che vive e lavora in Italia, interpretato da una brava Angela Finocchiaro, non è però un film di denuncia bensì una commedia surreal grottesca piena di product placement, che senza troppi peli sulla lingua ci mette di fronte ad una realtà incontrovertibile: le donne invecchiano, ingrassano, perdono tonicità e l'attenzione dell'altro sesso, e talvolta anche la fiducia in loro stesse; dall'altra parte gli uomini ad una certa età sembrano diventare più affascinanti e interessanti. Insomma allo status di babbiona si contrappone lo status di latin lover maturo e virile. Tanti i luoghi comuni utilizzati nelle gag dei tanti personaggi e tante anche le battute di dubbio gusto che inserite nel contesto non stonano poi tanto, ma ad appesantire la visione del film è purtroppo una sceneggiatura che fatica a prendere il volo e ad arrivare ad una conclusione sensata. L'elemento surreale incarnato da Giovanni Storti dà sì leggerezza al racconto, ma non riesce mai a sorprendere e a far sorridere, tanto meno riesce a dare un senso ai suoi 'interventi'. La Finocchiaro fa il possibile, ma la sua bravura nel gestire al meglio tutte le sfaccettature del suo personaggio non basta a reggere una commedia che ha sì qualche trovata intelligente ma che nel complesso risulta sgraziata, sprovvista di fluidità e di concretezza narrativa.

Il risultato è uno sgangherato mix tra Almodovar e de la Iglesia, con qualche buon momento comico (fanno sorridere le citazioni che vedono la Finocchiaro trasformarsi nel Joker di Batman grazie al botox o nell'Aigor di Frankenstein Jr.) e un apprezzabile messaggio che invita le donne di qualsiasi età a lasciarsi andare, ad aprirsi ai sentimenti, a ricercare la verità e la propria originalità senza professare il culto dell'immagine. Al termine della proiezione di Ci vuole un gran fisico rimane però la sensazione di aver assistito ad un'opera dal taglio troppo televisivo che mira alla risata facile e all'uso di stereotipi sessuali e sessisti perdendo l'occasione d'oro di lasciare il segno nel panorama della commedia italiana al femminile. Un vero peccato.

Movieplayer.it

2.0/5