Recensione 4:44 Last Day on Earth (2011)

Un progetto che nasce dalla classica domanda 'se avessi un ultimo giorno da vivere, cosa faresti' e svela un Ferrara inedito e sorprendente, che potrebbe essere ad una svolta personale piuttosto importante.

A che ora è la fine del mondo?

Non ci sono più dubbi ormai, nella notte il mondo finirà. Più precisamentealle ore 4:44 newyorchesi accadrà l'inevitabile e nessuno potrà salvarsi.
Non per tutti è facile accettare questa realtà ovviamente, ma Cisco e Skye, due artisti che vivono in un loft nella Grande Mela, sembrano invece aver accettato questo crudele destino e decidono di vivere queste ultime ore rimaste nel modo più semplice possibile, rimanendo insieme e vicini.

Quattro anni dopo Go Go Tales, Abel Ferrara torna alla fiction dopo una breve parentesi documentaristica (Chelsea on the Rocks, Napoli, Napoli, Napoli e Mulberry St.) e lo fa con 4:44 Last Day on Earth, un film dalle premesse non certo originali ma dall'approccio minimalista e certamente personale. Se l'idea di partenza ricorda infatti molto da vicino il cult indie Last Night, esordio alla regia di Don McKellar datato 1998, è la scelta di concentrarsi esclusivamente su un'unica coppia e di non farne un film corale ad allontanarlo dal film da canadese ed avvicinarlo semmai al più recente Melancholia di Lars Von Trier.

Ferrara decide di rimanere addosso ai personaggi (Willem Dafoe e Shanyn Leigh, entrambi veterani del cinema di Ferrara, sebbene per l'attrice sia la prima volta da protagonista) ed è per questo che vediamo molto poco di quello che accade all'esterno se non attraverso immagini televisive, una breve passeggiata di Cisco attraverso un desolante Lower East Side o l'insistito utilizzo di Skype per riprodurre gli ultimi saluti con vecchi amici e parenti lontani.

L'intero progetto nasce ovviamente dalla classica domanda "se avessi un ultimo giorno da vivere, cosa faresti?", e a sorpresa davanti a questo quesito il regista si scopre moralista, ecologista e spiritualista: cita il Dalai Lama così come Al Gore, incolpa la società e la classe politica di non aver saputo prendersi cura del nostro pianeta, non ci risparmia prediche nemmeno sull'utilizzo di droghe e alcool ("meglio essere lucidi quando il momento arriverà, non voglio perdermi niente dello spettacolo finale" dice uno degli amici del protagonista) e arriva ad elargire perfino consigli sentimentali dell'ultim'ora attraverso l'ex bad girl Anita Pallenberg. E quando l'ora fatidica scatta, Ferrara limita al minimo la spettacolarizzazione ma si concentra ancora una volta sui due protagonisti, sul loro tenero abbraccio, sull'accettazione della morte e della speranza di una nuova vita. Che per il "cattivo regista" sia il tempo di una svolta new age?

Movieplayer.it

2.0/5