Recensione 40 carati (2012)

Lo script lavora su alcuni stilemi ricorrenti del thriller americano, senza rivisitarli in maniera innovativa: il regista Asger Leth punta più sulla spettacolarità di alcune sequenze, dimostrando una discreta capacità nell'orchestrare l'azione.

Rapina da vertigine

Dopo il celebre Tower anche un altro caratteristico grattacielo di New York, quello del Roosevelt Hotel, viene utilizzato dal cinema di genere americano per rappresentare le ansie dell'uomo comune, in crisi di fronte allo sfacelo economico, politico e sociale della propria nazione. Mentre però Tower Heist: Colpo ad alto livello di Brett Ratner stemperava il suo messaggio di condanna al capitalismo finanziario attraverso la contaminazione con la commedia e con lo slapstick, questo 40 carati di Asger Leth rimane incardinato entro i confini del puro genere thriller, anche se la sceneggiatura si segnala per essere un mix di svariati sottofiloni dell'action.
Il film, infatti, si apre con un flashback ad ambientazione carceraria, in cui viene introdotto il protagonista Nick Cassidy, interpretato da un prestante Sam Worthington. Costui è un ex poliziotto ingiustamente condannato per il furto, in realtà non commesso, di un prezioso diamante di proprietà del magnate David Englander (impersonato da un gigionesco e mefistofelico Ed Harris).


Le prime spettacolari sequenze ci mostrano la sua evasione dalla prigione, portata a termine mediante un rocambolesco inseguimento che culmina nello scontro tra un treno e l'auto in cui si trova Nick. Dopo questa sorta di adrenalinica presentazione, lo scenario si sposta sul cornicione del ventiduesimo piano del Roosevelt Hotel, dove il protagonista si è barricato minacciando il suicidio. Mentre la folla newyorkese si accalca sotto il grattacielo - esternando sentimenti misti tra apprensione, curiosità e godimento per l'inatteso spettacolo che appare sopra le loro teste - giunge la psicologa della polizia Lydia Mercer (Elizabeth Banks), incaricata di dissuadere Nick dal compiere lo sciagurato gesto.
Dopo la prima mezz'ora, tuttavia, la storyline principale incentrata su una figura ormai divenuta ricorrente nel cinema americano come quella del "Man on a Ledge" (ovvero dell'uomo su un cornicione, che è anche il ben più calzante titolo originale del film) si interseca con un altro sottogenere action, vale a dire lo heist movie. Si scopre, infatti, che il tentato suicidio di Nick è in realtà un ben orchestrato diversivo per consentire al fratello Joey (Jamie Bell), insieme alla fidanzata Angie (Genesis Rodriguez), di rapinare il famigerato diamante da quaranta milioni di dollari. Le due sottotrame finiscono così per intrecciarsi sempre più, fino a culminare in un finale ipercinetico e ricco di ribaltamenti e colpi di scena.

Si fa fatica a credere che il regista danese Asger Leth, al suo esordio nel cinema di finzione, abbia alle spalle una carriera da apprezzato documentarista. Perché 40 carati è il tipico prodotto americano di puro genere - quello che in passato si sarebbe definito come un B-movie - in cui a contare non è certo la verosimiglianza e il realismo dell'intreccio, ma piuttosto la spettacolarità delle sequenze d'azione (alcune delle quali, è il caso di dirlo, davvero "vertiginose") . Lo script dell'autore televisivo d'origine venezuelana Pablo F. Fenjves sembra, infatti, fare riferimento agli elementi più tradizionali e ricorrenti che stanno alla base dell'action statunitense, tentando un mix tra diverse soluzioni (thriller psicologico con protagonista un poliziotto accusato ingiustamente, film di fuga carceraria, caper movie) senza però riuscire a rivisitarle in maniera innovativa. Alcuni aspetti della sceneggiatura si sarebbero potuti sviluppare decisamente meglio, a partire proprio dalla definizione psicologica nel rapporto tra i due personaggi principali, il poliziotto Nick e la psicologa Lydia (entrambi delusi e provati dalle vicissitudini del loro passato e desiderosi di riscatto), che invece risultano solo abbozzati.
Si sarebbero inoltre potuti approfondire alcuni sottotesti tematici che rimangono appena accennati, tra cui la critica alla politica economica americana di cui si parlava in precedenza; oppure la condanna al potere e all'invasività dei mass media, stigmatizzati attraverso la figura della cinica cronista Suzie Morales (Kyra Sedgwick), disposta a tutto pur di alzare lo share del suo programma giornalistico.
Difficile che 40 carati possa contribuire a lanciare la carriera di Asger Leth (che comunque dimostra solide capacità di mestierante dell'action). Altrettanto improbabile che possa rafforzare quelle di Elizabeth Banks (ormai sospesa tra commedie romantiche e thriller), di Jamie Bell, qui decisamente poco sfruttato, e nemmeno di Sam Worthington, che non aggiunge molto rispetto alle precedenti performance fisiche di Avatar e Scontro tra titani 3D.
Tuttavia la fucina di Hollywood ha bisogno anche di questi film "minori", che riescono per lo meno a soddisfare un pubblico poco esigente e smanioso soprattutto di spettacolarità visiva.