Recensione The Burning Plain - Il confine della solitudine (2008)

Conflitti generazionali, amori contrastati, passioni travolgenti, sensi di colpa brucianti, nascita e morte, passato e presente si intrecciano e spesso viaggiano parallelamente nel film che segna il debutto alla regia di Guillermo Arriaga.

Quando l'amore si trasforma in tragedia

New Mexico. Nel mezzo di una pianura sconfinata e arida una roulotte arde tra le fiamme e si porta via due vite, quella di due amanti clandestini che avevano scelto quel posto lontano dal mondo per rubare alla vita di tutti i giorni piccoli ma irrinunciabili momenti di felicità. La polizia li ritrova carbonizzati ma saldati in un solo corpo a suggello di un ultimo incontro d'amore. Lei è Gina (Kim Basinger), moglie insoddisfatta nonché madre amorevole di quattro figli, lui è Nick, padre di due figli maschi, sposato ed anch'egli infelice ormai da troppo tempo. Due famiglie distrutte dal dolore, ora nemiche, segnate per sempre da una tragica fatalità.
Portland. Sylvia (Charlize Theron) è una splendida trentenne che gestisce un ristorante di lusso sul mare tra un'avventura di sesso e l'altra. Potrebbe avere tutto dalla vita ma non le basterebbe a colmare il vuoto d'amore che c'è nel suo cuore. Potrebbe avere tutti gli uomini che desidera ma non riesce ad amarne nessuno. I suoi occhi trasudano angoscia, la sua vita è senza affetto, il passato incombe sul suo presente come un tuono prima di una tempesta. Un corpo e un'anima che sembrano non trovare pace quelli di Sylvia, autolesionista sin da quando era una ragazzina, ora cronicamente disillusa. Solo tornando indietro nel tempo, agli anni della sua adolescenza nel New Mexico, e accettando una volta per tutte la morte della madre e il distacco dall'uomo della sua vita, potrà provare a ricostruire la sua identità di donna con lo sguardo rivolto verso il futuro.
Difficile e non meno desolante l'esperienza di Maria, una bambina di dodici anni cresciuta da un ragazzo padre e dallo zio dopo che la sua giovane mamma sparì nel nulla due giorni dopo la sua nascita e quella di Mariana, adolescente passionale e ribelle che, in lotta contro i sensi di colpa e contro se stessa per essersi innamorata del figlio dell'amante di sua madre, decide di fuggire con lui e di lasciare per sempre il luogo in cui è cresciuta.

Conflitti generazionali, amori contrastati, passioni travolgenti, sensi di colpa brucianti, nascita e morte, passato e presente si intrecciano e spesso viaggiano parallelamente nel film che segna il debutto alla regia di Guillermo Arriaga, consacrato sceneggiatore-spalla del collega Alejandro Gonzalez Inarritu che ha portato sul grande schermo le sue tre precedenti straordinarie sceneggiature (Amores Perros, 21 Grammi - il peso dell'anima e Babel) e dal quale ha bruscamente divorziato per una cosiddetta 'discordanza di vedute'.
Gioca con i personaggi Arriaga, con genitori e figli lacerati dalla vita, dalle responsabilità, da amori proibiti che divengono bisogni primari e valvole di sfogo verso un'intima utopia di libertà. In The Burning Plain l'autore lega indissolubilmente il presente, il passato e il futuro, racconta il dolore e la morte come sublimi accezioni della vita, avvicina l'acqua con il fuoco, l'aria con la terra costruendo intorno ad una passione travolgente un dramma esistenziale di grande intensità emotiva, visto da diverse angolazioni ed in cui tutti sembrano potercela fare con le proprie forze ma alla fine falliscono miseramente sprofondando nella solitudine più profonda.

L'ennesimo puzzle narrativo inventato dal maestro dell'altalena flashback-flashforward affascina e coinvolge, forse per la prima volta viene imperniato su un'unica vicenda in cui sono i personaggi a spaziare nel tempo anziché più storie a confluire in una sola ad incastro. All'inizio ogni vicenda sembra non avere legami con le altre, come nella miglior tradizione di Inarritu, ma con lo scorrere dei minuti situazioni, sensazioni e personaggi, ognuno dei quali magistralmente disegnato da Arriaga, confluiscono in un unico vivido affresco di vita vissuta, incorniciato sullo schermo dall'altrettanto magistrale giro di valzer temporale conclusivo.
Una cosa è certa, Arriaga (come il suo compare Inarritu) dovrà inventarsi in futuro delle convincenti variazioni sul tema perché alla lunga certi meccanismi raccontati sempre con la stessa cifra stilistica rischiano di diventare obsoleti e di stancare anche gli stessi fan che, ad oggi, gridano al capolavoro. C'è da registrare qualche prevedibilità e qualche sdolcinatezza di troppo nei dialoghi, ma anche una straordinaria colonna sonora scritta niente meno che da Hans Zimmer ed una fotografia altrettanto sublime capace di apporre un ulteriore malinconico accento sul dramma che si consuma inesorabile sullo schermo. Bravi tutti gli attori, su tutti la Basinger e la Theron, entrambe in odore di candidatura.

Movieplayer.it

4.0/5