Paolo Genovese presenta la sua famiglia perfetta

Il regista romano ha presentato in conferenza stampa la sua interessante commedia corale, ispirata a un film spagnolo del regista Fernando León de Aranoa. Insieme a lui, il protagonista Sergio Castellitto e il resto del cast quasi al completo.

E' stata sicuramente una scelta coraggiosa, quella di far uscire nel periodo pre-natalizio un film come Una famiglia perfetta. Chiedere che una pellicola del genere fosse inserita nella programmazione immediatamente a ridosso delle feste sarebbe stato forse troppo; il film di Paolo Genovese è infatti una commedia atipica, surreale e intelligente, che prende il clima natalizio come sfondo per raccontare la storia di un uomo solitario, che inventa dal nulla una sua famiglia. Il film, che trae l'idea iniziale da una pellicola del regista spagnolo Fernando León de Aranoa intitolata Familia, è stata presentata in conferenza stampa dal regista insieme al cast quasi al completo: tra gli attori presenti, il protagonista Sergio Castellitto, affiancato da Marco Giallini, Claudia Gerini, Ilaria Occhini, Eugenia Costantini, Eugenio Franceschini e Francesca Neri.

Qual è stata la genesi del film?
Paolo Genovese: Il film nasce dieci anni fa, quando a me e a Luca Minero fecero vedere il film spagnolo, e ci chiesero di fare il remake. Allora stavamo girando un film ambientato a Natale, e alla fine decidemmo di non fare il remake di Familia: ho sempre pensato che i film belli non abbiano bisogno di remake. Però l'idea di fondo ci rimase in testa. Era l'idea di raccontare qualcosa attraverso la sua rappresentazione: così, partendo dal film spagnolo abbiamo costruito una storia familiare, in cui al centro c'è l'ineluttabilità delle scelte. Il protagonista Leone, infatti, mette in scena questa assurda rappresentazione per capire se ha fatto la scelta giusta.

Castellitto, lei era stato contattato per il film già dieci anni fa. Perché ha creduto in questo progetto per così tanto tempo?
Sergio Castellitto: Perché l'idea è geniale, e Paolo è un autore in grado di fare la vera commedia: un genere che si differenzia dal comico, perché racconta con sapienza temi seri, usando ironia e garbo. Qui c'è un uomo che si definisce solitario, e in realtà è solo: il tema è proprio la solitudine. E poi il cast è straordinario: Marco Giallini, per esempio, lo considero il James Stewart italiano.

Genovese, quanto e dove si discosta il film dall'originale? Paolo Genovese: E' rimasta l'idea della formazione della famiglia, col protagonista che la affitta: nell'originale, però, lo fa nel giorno del suo compleanno. Le due storie poi procedono diversamente: nell'originale lui non ha legami, si fa questo regalo e gioca con tutti, anche con le donne. Qui, invece, volevo raccontare quello che in qualche modo è un rimpianto, visto che alla fine si scopre che c'è un motivo per cui tutto ciò viene fatto. Il protagonista si fa delle domande, e ce le fa fare anche a noi. I personaggi secondari, poi, sono completamente diversi nei due film.

Come giudicate i vostri rispettivi personaggi?
Marco Giallini: Il mio personaggio è cornuto, o becco, se preferite... anche se loro insistono a dire di no! Però è anche pieno di sentimenti. Ho pensato all'Enrico IV, quando mi portarono a forza a vedere la versione con Romolo Valli: ci ho pensato subito, quando ho letto la sceneggiatura, anche se in fondo non c'entra granché.
Claudia Gerini: Carmen è un'attrice che non vive un momento di grande successo, così accetta questa sfida e decide di fare la moglie. La cosa bella era il doppio registro, interpretare un'attrice che interpreta il ruolo di moglie. La giudico come una donna piena di sentimenti.

Francesca Neri, lei nel film è l'unica che non fa parte della famiglia, e si trova protagonista di una commedia "vera".
Francesca Neri: Il ruolo pareva distante dalle mie corde, ma la sceneggiatura l'ho trovata fantastica. Il personaggio era difficile da immaginare perché era l'unico vero, e c'era un po', da parte mia, la difficoltà di inserimento. Vivevo un po' la frustrazione, ogni volta che mi inserivo nei dialoghi, visto che loro erano diventati un po' una famiglia vera. Questa frustrazione l'ho messa nel film, per costruire il personaggio; e poi, soprattutto, mi sono fidata di Paolo.

Si può dire che nel film c'è una dichiarazione d'amore, da parte del regista, nei confronti dell'attore. Ma gli attori si sono sentiti veramente amati? Paolo Genovese: In realtà io, alla fine delle riprese, mi sono un po' spaventato di aver fatto questo film. Non mi era mai capitato prima. Mi sono infatti reso conto quanto questa sceneggiatura, senza questi attori, avrebbe potuto non funzionare. Non me ne sono reso conto fino in fondo se non alla fine.
Claudia Gerini: Paolo è un regista che ama gli attori. Passando tutte quelle ore insieme siamo diventati un po' come una famiglia, e ho trovato una grande curiosità da parte sua, un grande impegno nel vedere tutte le sfumature che potevamo dare a ogni singola scena. C'era affetto e trasporto da parte sua verso di noi, e questo si vedeva.
Francesca Neri: Infatti lui studiava con noi le scene, ci seguiva ricordando tutti i passaggi emotivi dei personaggi.
Ilaria Occhini: Confermo tutto. Io interpreto una donna che è sola, che fa dei ruoli non eccezionali, e l'idea di poter essere la nonna di una bella famiglia, e di avere dei nipoti, è per lei una gioia estrema. E' felice di poter rappresentare, e a un certo punto riesce addirittura ad interpretare da sola un dramma, improvvisando, perché capisce che il suo capocomico è in difficoltà. C'è molto teatro, nel film, è una storia molto pirandelliana, ma con una struttura cinematografica.
Eugenia Costantini: Non avevo pensato al film nei termini di una dichiarazione d'amore verso gli attori, ma ora credo sia vero. Se Paolo ci ha fatto sentire amati? Sì, moltissimo. Vedendo il film, mi sono accorta che ha una forte componente sentimentale, mi ha commosso e fatto pensare a temi legati agli affetti.
Eugenio Franceschini: Pensavo di rimanere un po' schiacciato nei confronti di tutti loro, invece non è mai successo: Paolo mi ha dato attenzione e sicurezza, gestendo tutto con grande leggerezza. Se l'ambiente fosse stato più rigido, per me, che sono nuovo, sarebbe stato tutto più complicato.

Il film può essere definito una riflessione sull'arte del recitare? Sergio Castellitto: E' un po' un teatrino di attori, che si racconta attraverso varie età: Eugenia dice che per lei recitare è la vita, una frase che a 20 anni abbiamo detto tutti, salvo poi renderci conto che non è così; poi c'è la grande attrice del passato, che dice "io sono stata", c'è il cornuto con la maschera di dolore apparente, che si butta nel denaro. Sono tutte maschere, nel senso più bello e più nobile della parola.

Che ne pensate, voi, del Natale? Sergio Castellitto: Il film porta a chiedersi come sarebbe la vita senza il Natale. Secondo me, avremmo un'occasione in meno per cercare di amarci: è un affettuoso, divertente, patetico tentativo di volerci bene. Come le Olimpiadi, del resto. In queste occasioni, sentiamo meno il peso della solitudine.
Eugenia Costantini: Io soffro molto a Natale, non lo amo. Il fatto di soffrire durante questa festa mi pare una cosa molto diffusa, e bisognerebbe capire perché. Di sicuro questo film mi ha fatto riflettere ulteriormente sul tema.
Eugenio Franceschini: Fa bene ad esserci, il Natale. Se si prende coscienza di cosa è diventato, si capisce che dev'essere un giorno diverso rispetto agli altri; tutto ciò che è diverso è un'occasione, e quindi è bene che ci sia.

Nel film c'è un cinismo affettuoso, sentimentale, un po' alla Ettore Scola. Ha avuto dei riferimenti, nel girarlo? Paolo Genovese: Spesso ci attribuiscono dei riferimenti che poi, in realtà, noi non pensiamo. Michel Gondry, recentemente, diceva di non intellettualizzare troppo il proprio lavoro, che tanto ci pensano gli altri a farlo. In genere, mentre si scrive e si gira, si pensa a far funzionare meglio la storia, ma non si prendono mai riferimenti in modo cosciente.

Occhini, lei ha dei precetti, da dare a chi volesse intraprendere il mestiere dell'attore? Ilaria Occhini: Posso dire che il teatro oggi non si fa abbastanza, e che andrebbe fatto nelle scuole. E' un mezzo per conoscersi e per conoscere l'umanità. Sarebbe bello se ritrovasse una sua identità, e soprattutto se fosse insegnato nelle scuole.