Recensione Take Shelter (2011)

Giocando sul non detto, Jeff Nichols non si limita a entrare sotto la pelle di un personaggio patologico, ma si permette di tastare il polso di quell'America rurale isolata dal resto del mondo, fieramente legata ai valori dell'american way of life, minacciata da un pericolo ignoto che la assale nel cuore del suo fortino.

Oscuri presagi

La natura si ribella. Accade di continuo e anche se molte catastrofi naturali sono imputabili all'incuria umana, a volte le spiegazioni scientifiche cedono il passo all'ignoto. E' in questa terra di nessuno che si muove il regista Jeff Nichols, uno dei giovani autori più promettenti del cinema indipendente americano che, con la sua opera seconda, ci consegna un lavoro maturo e intrigante. Take Shelter affonda le radici in suspence thriller come il capolavoro hitchockiano Gli uccelli o in opere dall'afflato ecologico-apocalittico, in primis il mediocre E venne il giorno di M. Night Shyamalan. A differenza della sgangherata pellicola di Shyamalan, Nichols si dimostra un maestro nel dosare la tensione in un crescendo che ruba elementi alla tradizione del genere per rielaborarli in maniera del tutto personale. Per il regista la dimensione catastrofica è secondaria, un espediente per focalizzare l'attenzione sul funzionamento della mente umana costruendo un intero film sul suo protagonista, l'immenso Michael Shannon. L'interprete di Revolutionary Road è chiamato ancora una volta a calarsi nei panni di un uomo afflitto, apparentemente, da problemi psichici che si intensificano man mano che la storia avanza.


Curtis LaForche è un operaio che vive e lavora in una piccola comunità nel cuore dell'Ohio insieme alla moglie e alla figlia di sei anni, affetta da sordità. La serenità familiare viene turbata da una serie di presagi, sogni premonitori e visioni apocalittiche che sconvolgono l'uomo a tal punto da spingerlo a prendere provvedimenti contro una fantomatica catastrofe imminente. Scena dopo scena, il dubbio sulla sanità mentale di Curtis si insinua nello spettatore grazie alla maestria con cui Nichols dissemina la pellicola di indizi contrastanti. Da una parte assistiamo a scene di grande impatto emotivo, come l'incredibile volo di uccelli sullo sfondo di un cielo nero come la pece, che oggettivano le fobie di Curtis trasmettendo un crescente senso d'inquietudine, dall'altra le violente crisi che lo colpiscono al lavoro o a casa suggeriscono la possibilità di un'esplosione della malattia mentale che alberga nel suo patrimonio genetico. Lungi dal fornire risposte allo spettatore, Jeff Nichols regala a Michael Shannon un ruolo complesso, sfaccettato, e l'attore non lo delude ricambiando con una perfomance grandiosa. Il suo Curtis, presente in ogni scena, è allo stesso tempo protettivo e fragile, minaccioso e vulnerabile. Il suo malessere si traduce in inquietudine, confusione, panico, per poi sfociare nella paranoia pura. A fargli da contraltare ci pensa Jessica Chastain nel ruolo della moglie, supportiva come l'etereo e materno personaggio interpretato in The Tree of Life, ma più solida e pragmatica, capace di arginare, solo in parte, il senso di minaccia strisciante che a poco a poco invade il film.

Giocando sul non detto, sull'uso dei simboli e sulla paranoia crescente, Jeff Nichols non si limita a entrare sotto la pelle di un personaggio patologico, ma si permette di tastare il polso di quell'America rurale isolata dal resto del mondo, fieramente legata ai valori dell'american way of life, minacciata da un pericolo ignoto che la assale proprio nel cuore del suo fortino. Il bunker sotterraneo costruito da Curtis sacrificando i propri risparmi per proteggere i suoi cari ricorda da vicino i rifugi antiatomici tanto di moda negli anni '50, ma oggi, con la messa in discussione dei valori tradizionali, il nemico è ancor più minaccioso perché privo di identità e consistenza certe. La stessa cifra stilistica utilizzata da Nichols, il look delle sue inquadrature, l'aspetto dei suoi personaggi, risultano in qualche modo antichi, semplici così come semplice e lineare è il plot di Take Shelter. L'afflato universale e la forza profetica contenuta nel film dipendono, allora, unicamente dall'abilità del regista di combinare con sapienza ingredienti classici ottenendo un mix disturbante, capace di riflettere le angosce ataviche dell'uomo e il malessere profondo che affligge la società contemporanea.

Movieplayer.it

4.0/5