Recensione A Mao e a Luva (2010)

Il documentario di Roberto Orazi, senza pietismo e retorica, ci porta nella favela di KCal, autoproclamatosi orgogliosamente "trafficante di libri", che da quindici anni lavora per creare una rete di biblioteche in Brasile, per mostrare anche ai più poveri che un libro può voler dire felicità.

Ogni libro è un grido di libertà

La schiavitù non è stata abolita: ha semplicemente cambiato nome. E' questo assunto provocatorio, ma anche tristemente vero, che ci introduce al sistema di pensiero di Ricardo Gomes Ferraz, detto KCal, brasiliano di Recife che ha fatto della propria vita una missione, quella di portare nella sua favela i libri, la musica, la cultura, e quindi la libertà. Perché non ci saranno forse più gli schiavi, ma ci sono gli operai sottopagati, non ci saranno i padroni, ma ci sono tiranneggianti capireparto che fanno fortuna alle spalle di chi cerca di sopravvivere con dignità e, dove non c'è modo di conoscere, non c'è nemmeno modo di avere diritti.

KCal ha scoperto la portata rivoluzionaria del sapere a sedici anni, quando, con i suoi primi guadagni, decise di acquistare un libro: A Mao e a Luva appunto, la mano e il guanto. Come i protagonisti della storia di Machado de Assis, KCal capirà quanto sia importante avere un proprio guanto, una direzione da imprimere alla propria vita, da perseguire e difendere con tutte le forze. Quella di questo ragazzo brasiliano, nato nel degrado di una fazenda che non ha mai voluto abbandonare, nonostante le lusinghe della notorietà meritatamente acquisita, è una storia quasi più inverosimile delle favole che racconta ai bambini del quartiere. E invece davvero KCal è riuscito, libro dopo libro, a mettere in piedi una biblioteca, prima itinerante, quando lui stesso, casa per casa, convinceva ragazzini indifferenti e adulti scettici a prendere in prestito un suo libro, e poi stabile, una volta ampliata l'offerta e ottenuto il consenso entusiasta della comunità.

La camera a mano di Roberto Orazi, che ha conosciuto KCal quasi per caso durante le riprese di un documentario sul traffico di organi, ci introduce nell'intimità di una favela che è descritta senza toni retorici o strappalacrime, ma che, attraverso il filtro interpretativo dell'instancabile protagonista, ci trasmette tutta la propria vitalità. Mentre la prima parte della pellicola ripercorre la genesi del progetto della biblioteca, presto viene lasciato spazio alle voci della favela, al racconto di come l'impegno di Ricardo abbia saputo cambiare la vita di tutti, regalando nuove prospettive a chi sembrava condannato al degrado. A noi, che ai libri siamo abituati e che magari li guardiamo con l'indifferenza di chi ha cose più importanti di cui occuparsi, potrà risultare sovrastimato l'entusiasmo con cui questi ragazzini si dedicano alla lettura e alla scrittura. Eppure non si può non essere d'accordo con KCal quando afferma che anche il più povero possiede una ricchezza inestimabile se ha un libro in mano, perché con un libro puoi andare dove vuoi, puoi immaginare l'impossibile e provare a creare un mondo un po' più giusto. A fare da collante tra questi scorci di vita sono le poesie e le canzoni di KCal, fatte di immagini semplici, che celebrano la bellezza e la grazia nascoste in piena vista nelle vite e nei gesti a cui non diamo peso. L'estetica della pellicola sembra voler ricalcare questa filosofia, mostrando con naturalezza e onestà come la povertà possa convivere con l'allegria, e dalla difficoltà possa nascere la speranza.

KCal non è diventato ricco, non ha cambiato le politiche sociali del suo Paese, non ha offerto una casa e un lavoro sicuro a chi non li aveva, ma forse ha fatto qualcosa di ancora più importante: ha dimostrato che un sogno può realizzarsi, può crescere e diventare sempre qualcosa di nuovo, e soprattutto può far nascere altri sogni. KCal ha mostrato a una comunità prostrata, senza possibilità di riscatto, la forza speciale delle parole e il potere che le storie hanno sulla vita, e la pellicola di Orazi ben interpreta questo spirito genuinamente rivoluzionario.

Movieplayer.it

3.0/5