Recensione Darkness (2002)

Tre anni dopo il sorprendente successo di 'Nameless', lo spagnolo Jaume Balaguerò torna a dirigere un horror, affidandosi alla produzione di Brian Yuzna.

Notte senza fine

Tre anni dopo il sorprendente successo di Nameless, arrivato dalle nostre parti solo pochi mesi fa, lo spagnolo Jaume Balaguerò torna a dirigere un horror, affidandosi alla produzione di un nome molto noto agli appassionati come quello di Brian Yuzna. Nonostante il nome del produttore, conosciuto soprattutto per le sue regie e produzioni in ambito splatter, il film a cui siamo di fronte è un horror dalla struttura molto classica, che può rientrare in prima approssimazione nel sottogenere "fantasmi & case infestate" riportato ultimamente in auge da alcune produzioni hollywoodiane (Il sesto senso e The Others su tutte). L'originalità, quindi, com'è facile immaginare sin dalle prime scene, non può che latitare in un film come questo: la trama è risaputa, gli sviluppi (nonostante a un certo punto "devino" verso un altro filone dell'horror, che è quello demoniaco) sono piuttosto prevedibili. Il principale difetto del film sta, per l'appunto, in una sceneggiatura debole, con poche idee, che non fa che mettere insieme motivi e temi già visti, riproponendoli con poca convinzione: per tutta la prima parte del film sembra infatti di vedere un remake (sbiadito) di Shining, con il bambino che avverte più degli altri la presenza di forze oscure in casa, e il padre che gradualmente cade vittima di quelle stesse forze, divenendo pericoloso per chi gli sta intorno. La parentela (se così si può chiamare) con il film di Kubrick è evidente persino nella recitazione di Ian Glen, che a più riprese cerca di scimmiottare (senza ovviamente riuscirci) lo stile di recitazione di Nicholson nel suddetto film. La sceneggiatura, quindi, soffre di una mancanza di originalità mista a prevedibilità (anche negli sviluppi: non è difficile immaginare che qualcosa non va non appena vediamo entrare in scena lo "zio" Albert, interpretato da uno svogliato Giancarlo Giannini), che si unisce a una serie di incongruenze che si fanno registrare soprattutto nella seconda parte, quando gradualmente si rivela l'origine della minaccia che incombe sulla famiglia. Quello che soprattutto colpisce (negativamente) è la scarsa (o nulla) attenzione data dagli sceneggiatori al motivo della presenza dei fantasmi, e ai loro reali scopi: l'unica funzione degli spiriti dei bambini che infestano la casa sembra essere quella di spaventare, senza nessun reale approfondimento delle loro motivazioni. Un bel passo indietro, questo, per il genere, quando film come i già citati Il sesto senso e The Others avevano "umanizzato" la figura dei fantasmi, rendendoli presenze sì spaventose, ma bisognose di contatto e, in qualche modo, di aiuto.
La regia di Balaguerò, a parte un paio di scene ben costruite, non riesce a sopperire alle mancanze della sceneggiatura: inutilmente videoclippara in alcuni punti, tutta basata su espedienti quali tuoni, lampi e apparizioni improvvise in altri, risulta alla fine ripetitiva e quasi sempre incapace di trasmettere il senso di inquietudine e di tensione sovrannaturale che dovrebbe essere alla base di un film del genere.
Il finale, totalmente pessimista (a cui comunque si arriva con una serie di forzature e di incongruenze di non poco conto), è certamente originale, e l'ultima inquadratura, con quel nero tunnel che inghiotte l'automobile dei protagonisti, non è priva di fascino; ma è anche un po' troppo tardi per salvare il film.
Un prodotto, quindi, complessivamente non riuscito, realizzato, con capitali americani, da un europeo che non sembra aver chiara la direzione che vuole intraprendere con il suo cinema, sospeso com'è tra citazionismo spiccio e finte velleità autoriali. Il cinema, altrettanto di genere ma di ben altro spessore, del conterraneo Alejandro Amenabar sembra essere lontano anni luce. Così come, spiace dirlo, l'horror occidentale nel suo complesso sembra ormai lontano anni luce (a parte pochi esempi) da quello che si produce attualmente in oriente (Giappone e Hong Kong in primis), dove più che mai sembra risiedere il presente, e il futuro, del genere. Una differenza, di messinscena come di contenuti, che appare, per ora, incolmabile.

Movieplayer.it

2.0/5