Recensione White Deer Plain (2011)

Una complessa faida familiare, che si sviluppa in un arco narrativo piuttosto ampio e in una struttura narrativa di impronta teatrale. Il tutto sullo scenario della Cina rurale dei primi anni Dieci.

Non c'è pace tra le spighe

Immense distese di grano e tanto sangue versato, lussuria e vendette, amore e morte, sullo scenario della Cina rurale dei primi anni del secolo scorso. Dopo aver ottenuto diversi riconoscimenti prestigiosi a Berlino, con le sue opere precedenti - Il matrimonio di Tuya e Apart Together - il regista Wang Quanan torna in concorso alla 62esima Berlinale con White Deer Plain, una saga familiare dall'intreccio complesso e dalla messa in scena di forte impronta teatrale, che inizia nei primi anni Dieci e si sviluppa fino a ricoprire un arco temporale piuttosto ampio, che si concluderà con i bombardamenti da parte delle flotte giapponesi.

Al centro della storia, che ha per scenario il villaggio del Cervo Bianco, una comunità rurale che vive prevalentemente della coltivazione del grano, due famiglie: i Bai e i Lu. Jiaxuan Bai è il capo della famiglia e si occupa anche di tutto ciò che concerne il tempio ancestrale, legato ai loro avi. Quando il figlio di San Lu, Heiwa, inizia una relazione con una donna proveniente da un altro villaggio, la sensuale Tian Xiao'e, senza il permesso dei genitori, Jiaxuan impedisce ai due di sposarsi nel tempio e di legalizzare quindi la loro posizione. A questo punto l'intreccio si fa ancora più complesso, e si sovrappone agli eventi storici che si susseguono, come l'imminente rivoluzione e i difficili periodi di carestia ed epidemia di peste.

Alla complessità della storia di White Deer Plain, si contrappone la semplicità della messa in scena, che tuttavia non è avara di immagini suggestive, soprattutto quelle ambientate nei magnifici campi di grano dorato che danno lavoro agli abitanti del villaggio, così come quelle notturne, con i giochi di ombre e luci di lanterne che sottolineano la natura teatrale di questo lavoro. In tre ore di pellicola, gli eventi si susseguono in maniera quasi caleidoscopica, con le vicissitudini e le sorti dei protagonisti principali destinate ad evolversi di continuo.
Se è vero che la realizzazione del film è stata una delle più impegnative, tra quelle intraprese dal regista, anche la visione della pellicola si rivela altrettanto impegnativa, perché non è semplice tenere saldo il filo di Arianna mentre ci si addentra nella faida tra i Lu e i Bai, che sarebbe stata molto più fruibile con un adattamento più snello e lineare. Nonostante questo però, il film si rivela un'incursione affascinante nella cultura cinese degli inizi del secolo scorso, caratterizzato da una ricostruzione storica accurata, soprattutto per quanto riguarda i costumi. Come tutte le faide che si rispettino, anche a quella del Cervo Bianco, non mancano vendette, stupri, scontri tra padri orgogliosi, testardi e legati alle tradizioni e i figli, che invece guardano al futuro e ai sentimenti. A stemperare la natura sanguigna dell'opera, interviene però una certa ironia di fondo, che sottolinea l'inconsistenza dei motivi alla base degli scontri, legati soprattutto alle rigide convenzioni sociali dell'epoca.

Movieplayer.it

3.0/5