Recensione Tutti giù per aria (2009)

Il merito più grande di Tutti giù per aria sta nell'aver riportato alla luce un caso su cui è calato il silenzio; tuttavia l'opera rischia di essere un prodotto fatto ad esclusivo uso e consumo della parte lesa, che in quelle immagini, com'è giusto che sia, si riconosce al 100%.

Nel blu dipinto di nero

Quello di Tutti giù per aria è uno di quei casi in cui è impossibile sintetizzare la trama e non perché la docufiction di Francesco Cordio sia un ardito esperimento narrativo in cui letteralmente non si capisce nulla, ma solo perché la lunga storia che ha portato al salvataggio di Alitalia (o al suo affossamento, dipende naturalmente dai punti di vista) è stata un caotico agglomerato di batti e ribatti e di manovre di 'alta' finanza poco comprensibili. Tutto inizia nel 2006 con la decisione dell'Esecutivo Prodi di cedere il controllo di Alitalia. Un effetto domino che provoca il decadimento del Cda della compagnia di bandiera e l'inizio della gara tra varie cordate per l'acquisizione di Alitalia. Nel dicembre del 2007 a farsi avanti con forza è Air France-Klm, la cui offerta, in prima battuta accettata dal nuovo organigramma di Alitalia e dal Tesoro, viene però respinta. E' l'aprile del 2008 e la vicenda entra anche nella campagna elettorale, poi vinta da Pdl e Lega. Il premier Silvio Berlusconi preme affinché Alitalia resti in mani italiane e promuove così la nascita di una cordata tricolore. Nasce Cai, ma i problemi non vengono affatto risolti. Il durissimo faccia a faccia tra sindacati e i vertici della nuova compagnia si chiude nel settembre del 2008 con il raggiungimento di un accordo quadro per la stesura dei contratti. Nonostante il costo del lavoro sia più basso rispetto ad Air France, quattordicimila lavoratori perdono il proprio posto, mentre quelli che restano usufruiscono di un contratto carente in termini di diritti sociali fondamentali, come la possibilità di evitare i turni notturni per le hostess madri, sicurezza e condizioni di impiego e che prevede cassa integrazione e licenziamenti.


E' importante, quindi, che il film ideato da Alessandro Tartaglia Polcini, ex assistente di volo cassaintegrato, con il pallino del cinema, e Guido Gazzoli, co-autore del libro L'aereo di carta, abbia trovato una distribuzione nazionale (e l'encomio va a Distribuzione Indipendente); importante perché non si deve dimenticare quello che è successo in quei mesi di contrattazioni senza sosta, di presidi e manifestazioni. Il merito più grande di Tutti giù per aria è dunque quello di aver riportato alla luce un caso su cui molto si è dibattuto e su cui è calato un certo silenzio, almeno per ciò che concerne la situazione dei cassaintegrati. Tuttavia l'opera rischia di essere un prodotto fatto ad esclusivo uso e consumo della parte lesa, che in quelle immagini, com'è giusto che sia, si riconosce al 100%, ritrovando il furore e la passione di quei giorni passati a lottare per i propri diritti; nutriamo qualche dubbio, invece, sulla capacità di interessare il grande pubblico, ossia tutti coloro che per formarsi un'idea precisa di quanto sia accaduto, dovrebbero sapere di più e conoscere meglio. Un documentario di denuncia come questo dovrebbe provocare nella platea cinematografica una sincera empatia, darle quegli strumenti in grado di risvegliare coscienze dormienti e scatenare una sana indignazione.

Ciò non avviene, forse per i pochi mezzi a disposizione o per l'impossibilità ad approfondire il discorso dandogli una forma cinematografica più compiuta. Le tappe salienti della trattativa, affidate alla voce fuori campo di Roberto Pedicini (Il Jack Folla radiofonico), sono talmente numerose ed importanti che si perdono nel discorso, sommerse oltretutto da una parte di fiction, la storia dell'assistente di volo in crisi d'identità, che vaga sperduto per l'aeroporti di Fiumicino, che rende ancora più difficile la comprensione della vicenda. E poco possono chiarire gli interventi di coloro che si sono fatti intervistare, il giornalista Marco Travaglio e il premio Nobel per la letteratura, Dario Fo, il sindacalista Giorgio Cremaschi (lucidissimo nei suoi interventi) e l'ex ministro dei Trasporti, Altero Matteoli, l'ex titolare del Dicastero della Pari Opportunità, Mara Carfagna, e il bravissimo Ascanio Celestini, protagonista del bel monologo finale. Ciò che rimane allora sono le sequenze delle proteste dei lavoratori che, slegate da quel contesto, non sortiscono l'effetto voluto, ma anzi forse allontanano lo spettatore che rischia di essere infastidito esattamente come quelle persone che, bloccate in auto davanti al muro umano che gli si poneva avanti durante un sit in, non faceva altro che imprecare per il tempo perso. E non sarebbe giusto, in primis per coloro che hanno perso diritti e posto di lavoro. E a fronte di una classe politica trasversalmente sorda, capace di rispondere alle domande poste dai dipendenti dell'ex Alitalia difendendo esclusivamente le proprie posizioni.

Movieplayer.it

3.0/5