Leonardo Pieraccioni e il suo Fantastico via vai di giovani

Abbiamo incontrato il regista toscano per la presentazione della sua ultima fatica cinematografica, in uscita il prossimo 12 dicembre, una commedia sulla nostalgia della giovinezza; 'I ventenni di oggi sono gli stessi di sempre, travolti da uno tsunami d'emozione', ha raccontato in conferenza Pieraccioni.

Sono passati sei mesi dall'ultima volta che abbiamo avuto modo di scambiare qualche parola con Leonardo Pieraccioni in merito al suo nuovo lavoro, Un fantastico via vai; allora le riprese stavano per cominciare ad Arezzo, oggi invece il film è finito ed è stato presentato alla stampa, in vista dell'uscita del prossimo 12 dicembre (01 Distribution in 500 copie). Tra nuovi i collaboratori e attori (Paolo Genovese alla sceneggiatura, Serena Autieri, Marco Marzocca e Maurizio Battista) e amici di sempre (Massimo Ceccherini, Giorgio Panariello), il regista e interprete toscano ha riletto alla sua maniera una storia improntata alla nostalgia per la giovinezza; il protagonista, Arnaldo, è un padre di famiglia che, cacciato di casa dalla moglie Anita, è costretto a condividere l'appartamento con un gruppo di universitari, Camilla (Marianna Di Martino), studentessa di veterinaria, in dolce attesa, Anna (Chiara Mastalli), una bionda tutto pepe, Marco (Giuseppe Maggio), aspirante chirurgo con la fobia del sangue ed Edoardo (David Sef), fidanzato con Clelia (Alice Bellagamba), figlia di un imprenditore razzista. La convivenza alla lunga si rivela più complessa di quanto previsto, perché la vitalità di quei ragazzi costringe Arnaldo a fare i conti con i sogni perduti. Eppure, anche quella specie di fratello maggiore si rivelerà di grande aiuto per i suoi coinquilini.

A giugno ci parlavi di un'ispirazione molto particolare per questo film... Leonardo Pieraccioni: All'università mi è capitato di incontrare tanti ventenni con quella luce particolare negli occhi e quando Paolo Genovese mi aveva raccontato l'idea di una storia il cui protagonista veniva cacciato di casa e andava a vivere con degli universitari, non mi è sembrato vero; volevo precisare però che Arnaldo non è uno affetto dalla sindrome di Peter Pan, il classico cinquantenne che si compra la macchina nuova e si fidanza con una ragazzina, ma un uomo che ritrova quell'energia ormai perduta. Scopre dentro di sé di avere ancora sedici anni ed è un momento di grande tenerezza.

Parlavi della collaborazione nuova di zecca con Paolo Genovese, quanto è stato importante per te?
Tantissimo. Con Giovanni Veronesi avevamo tutto un altro metodo di scrittura, sembrava quasi un carnevale, prima si scriveva e poi si acchiappavano i personaggi e devo dire che quel modo di agire ha dato i suoi bei frutti; Paolo invece imbriglia subito la storia e non ha torto, è più rigoroso. Inoltre, stando sempre più a Firenze e meno a Roma, ci scambiavamo delle lunghe mail notturne che poi elaboravamo; è stato come vedere il film davanti agli occhi.
Paolo Genovese: Io mi sono divertito per un motivo, Leonardo non solo scrive il film, ma te lo recita anche e non fa solo la sua parte, ma anche quella di tutti gli altri personaggi, imitandoli alla perfezione è il suo metodo ed è bravissimo; a volte penso che gli servirebbe solo una dattilografa per scrivere velocemente tutte le idee che riesce a buttare giù.

Leonardo, citi anche la famosa corsa di I laureati, quella per evitare di pagare il conto al ristorante, stavolta però corri poco... Leonardo Pieraccioni: In quella corsa c'è il riassunto del film, anzi, vi dico anche che sono cascato durante le riprese, ho fatto davvero una figura triste. E poi è il senso della scena, laddove prima si faceva una zingarata, ora c'è la figuretta, non puoi scappare da una trattoria, fai tristezza e il tentativo che muore nel fiato corto ed è sintomatico.

Giorgio, tu hai il personaggio più sgradevole del film, quello di un imprenditore razzista la cui figlia è innamorata di uno studente di colore; attraverso di te il film è riuscito anche a far riflettere su un tema come la xenofobia... Giorgio Panariello: Bastasse il cinema a risolvere il problema, sarebbe facile, ma il bello di un mestiere come questo è che si può arrivare a tanta gente e che ci si può misurare con personaggi che sono distanti anni luce da te. Il mio è un personaggio davvero assurdo, perché odia i neri, ma allo stesso tempo ama gli animali.
Leonardo Pieraccioni: Sapevo con certezza che Giorgio aveva dei dubbi nell'affrontare questo personaggio, perché il comico vuole subito fare il comico. Mi chiamava sempre preoccupato, alle nove di sera e gli ho suggerito di mettersi l'anima in pace perché sapevo che quel ruolo avrebbe potuto farlo solo lui. La verità è che sono stato davvero fortunato con i miei attori, perché i comici sanno fare il loro mestiere. Questo perché come dice Woody Allen, a differenza degli interpreti drammatici, che non possono fare la commedia, i comici hanno più frecce al proprio arco.

Giorgio, ma qual è il tuo rapporto con Pieraccioni regista? Giorgio Panariello: Non riesco proprio a vederlo come il regista, per me è solo Leonardo; quando dobbiamo lavorare ad un personaggio ci riuniamo a casa sua, che è più grande, aggiungiamo tutte le cosine giuste e cerco di fare il personaggio un po' mio. Molte idee poi vengono sul set. Vederlo sul set è un film nel film.

Leonardo, come sono cambiati gli universitari?
Ma sono sempre gli stessi, non date retta a chi parla di trasformazioni dettate dai social network; nel cuore sono uguali, sono sempre travolti uno tsunami d'emozione talmente forte che è fantastico. Nei loro occhi leggi le stesse sensazioni che aveva Carlo Conti quando sapeva che non avrebbe fatto il bancario, o le mie, quando sapevo che non avrei fatto il magazziniere. Emozioni fortissime che diventano dei tatuaggi.

Come hai scelto i ragazzi?
Grazie ad un'agenzia di casting di Roma e devo dire che ho avuto l'imbarazzo della scelta, perché in questa fascia d'età sono molto più preparati rispetto a noi vent'anni fa. Li ho presi tutti bravissimi e bellissimi e in certi casi mi hanno fatto emozionare; è una stella che mi sono messo sulla giacchettina di comico.

Dopo il successo di Checco Zalone si torna a pensare alla comicità come antidoto alla crisi, è giusto per te?
Da sempre c'è voglia di ridere in Italia, figuratevi, e poi Checco Zalone è fortissimo, iperefficace, lo avevo anche chiamato anni fa per lavorare assieme, ma lui stava completando il film di debutto e non è stato possibile conciliare le due cose, ma mi piacerebbe tantissimo averlo in futuro.

Temi qualche film?
Solo Lo Hobbit: La desolazione di Smaug, ma noi gli opponiamo Ceccherini.