Recensione Le donne del 6° piano (2011)

Una 'rivoluzione spagnola' per una tranquilla famiglia borghese nella Parigi degli anni '60. Buone intepretazioni per il film di Philippe Le Guay, una commedia piacevole, ma forse un po' troppo 'perbene'.

Le cinque del sesto piano

Una famiglia borghese nella Parigi degli anni '60. Lui, Jean-Luis, lavora nel campo della finanza, mentre sua moglie Suzanne, una biondina algida e sempre composta, si divide tra gli appuntamenti con il sarto, gallerie d'arte e i salotti della città. Quando decidono di cambiare governante, assumono la bellissima Maria, una giovane spagnola che vive al sesto piano del loro stesso condominio, insieme a sua zia Concepcion e ad altre cameriere che lavorano presso le famiglie della zona. Al suo ingresso in famiglia, Maria chiede segretamente aiuto alle sue coinquiline per aiutarla a mettere tutto a posto prima del ritorno di Suzanne, perchè la casa è in condizioni disastrose, tra montagne di lenzuola sporche, strati di polvere e il lavello pieno di stoviglie da lavare. Nei giorni seguenti, oltre a rivoluzionare la casa dei Joubert da cima a fondo, la giovane spagnola ne sconvolgerà anche l'equilibrio. Prevedibilmente, Jean-Luis si prenderà una cotta per la nuova cameriera, ma non solo, perchè monsieur Joubert resterà folgorato anche dal mondo di lei, quattro adorabili e vivaci signore e il loro modo di parlare, pensare e cucinare.


Senza svelare cosa succede ai Jobert, si può dire che Service Entrance (titolo originale Les femmes du 6ème étage) ha il pregio di scorrere piacevolmente e senza che lo sviluppo sia troppo prevedibile. Anche la recitazione completa positivamente il quadro, con le buone interpretazioni di Fabrice Luchini, nel ruolo del timido Jean-Luis, le 'almodovariane' Lola Duenas e Carmen Maura, ma anche l'argentina Natalia Verbeke, bella in modo straordinario. Luchini si trova ad interpretare un uomo che non si è mai sentito davvero libero, e adesso riesce finalmente a rompere il guscio borghese in cui era rinchiuso.

Per il suo film, il regista ha lavorato su materiale autobiografico: avendo vissuto in una famiglia borghese, accudito molte ore al giorno da una governante spagnola, Le Guay imparò da lei a parlare anche la sua lingua, e ovviamente ne assorbì la cultura. In seguito, l'incontro con una signora spagnola che aveva vissuto in Francia negli anni '60, ha spinto il regista a sviluppare lo script del suo film, che inizialmente vedeva protagonista un adolescente che viene "adottato" da un gruppo di cameriere che vivono nel suo stesso quartiere. Non a caso infatti, alcune tracce di questo script precedente, a parere di chi scrive, sono rimaste nella versione definitiva, con le caratterizzazioni dei figli dei Jouberti, sviluppati in maniera più "incompleta" rispetto agli altri.

Quello che manca al film di Le Guay, è un tocco di vivacità in più: non bastano le scene sensuali in cui Maria insegna lo spagnolo al suo datore di lavoro, e le cene a base di vino, canzoni e paella per movimentare il tutto. Sarebbe bastato uno script un po' meno "perbene" che facesse un po' di contrasto con lo scenario borghese, e il tutto probabilmente avrebbe acquistato qualche punto in più.

Movieplayer.it

3.0/5