Recensione Ho voglia di te (2007)

Ho voglia di te è un film estremamente furbo nel voler apparire a tutti i costi perfetto, che offre qualche momento godibile, senza però mai concedere buon cinema, che riflette sull'amore oggi, ma lo spiega con la piattezza delle frasi ad effetto.

La voglia di un altro amore

Non bisognerebbe mai sottovalutare quelle storie che di tanto in tanto riescono ad infiammare il cuore di migliaia di teenager e a far scatenare il loro entusiasmo verso un libro, un film o un attore. Sono stati d'animo comunque positivi, passioni sane, che vanno ben oltre il reale valore qualitativo di un'opera, perché, ad una certa età, ciò che è sfacciatamente banale può risultare rassicurante per tante persone, soprattutto quelle più giovani, ed i "pariolini" amori maledetti, fatti di gesti plateali e scritte a caratteri e sensazioni cubitali ad imbrattare i muri della capitale, riescono a far sognare nella loro semplicità e nella consolante retorica. Può spiegarsi solo in questo senso l'enorme clamore venutosi a creare attorno alle storie d'amore, adolescenziali e post, scritte e riscritte dal miracolato Federico Moccia, che ha visto il suo primo libro, Tre metri sopra il cielo, diventare un vero e proprio caso prima tra i liceali romani, che se lo scambiavano fotocopiato dopo il fallimento della piccola casa editrice che l'aveva pubblicato inizialmente, e poi, dodici anni dopo, tra gli adolescenti di tutta Italia, con la nuova edizione curata da Feltrinelli. Nel 2003, dal libro viene tratto un film, diretto da Luca Lucini, che ha potuto contare sul grande affetto che la storia tra Step e Babi si era già conquistato tra gli affezionati della prima ora (che sono poi diventati più di 1.500.000, come le copie vendute del libro), trasformandosi così, in breve tempo, in un cult per il pubblico più giovane che si è appassionato con la stessa esaltazione anche alle avventure amorose sul grande schermo dei due protagonisti e dei loro amici, tutti rigorosamente muniti di ridicolo nomignolo.

Ed ora Ho voglia di te, altro caso editoriale firmato Moccia. Tre anni dopo aver vissuto un'intensa storia d'amore, finita male, con Babi, ragazzina borghese acqua e sapone, e aver visto il suo miglior amico morire in un incidente in motocicletta, Step torna dall'America, dove si era rifugiato per sconfiggere il dolore della duplice perdita, alla sua Roma, trovando immediatamente un nuovo amore, la scapestrata Gin, mora con grandi occhi azzurri che sogna di diventare fotografa, ma che nel frattempo deve accontentarsi di vestire i panni della bambolina televisiva. Tra i soliti tira e molla (già vissuti tutti nel precedente film e qui riproposti fino allo sfinimento) Step si ritroverà di nuovo ad arrampicarsi per quei tre ormai celebri metri sopra il cielo, tendendo la mano all'amata di turno, ma sarà riportato al suolo dagli imprevisti della vita e da una nuova tragedia che lo farà crescere, dandogli la forza per riconquistare ciò che ama veramente e che rischia di andare perduto ancora una volta. Per questa nuova storia d'amore con la "a" maiuscola si alza leggermente il target, ma senza esagerare, e si mettono in campo i primi, fastidiosi dubbi esistenziali ("ma cosa saremo noi a trent'anni?"), i problemi legati all'ingresso nel mondo del lavoro (con i soliti figli di papà col posto regalato e i lupi nascosti dietro le telecamere pronti a divorare le indifese veline), le piccole e grande sfide della vita quotidiana (la sorellina minorenne di Babi che si scopre incinta, ma non si ricorda di chi; la stessa Babi che, a due settimane dal matrimonio con il nuovo, invisibile fidanzato, scopa con l'ex per vedere l'effetto che fa; il teppistello dei Parioli che sfida Step in una corsa motociclistica sventolandogli in faccia il fantasma dell'amico morto).

Federico Moccia con Ho voglia di te regala alle fan del suo precedente libro un seguito che cancella quella storia d'amore che aveva fatto palpitare i loro cuori, inventandosi per il suo protagonista un amore altrettanto travolgente, ma certo non più maturo del precedente. Dopo il successo di questo suo secondo libro, il seguito della storia d'amore più amata dalla teenager italiane (che, in fondo, ci ricorda un po' sadicamente che un amore non è mai per sempre, smontando di senso la pesante colonna di lucchetti degli innamorati di Ponte Milvio a Roma) arriva anche sul grande schermo, sceneggiato ancora dallo stesso Moccia e da Teresa Ciabatti, e diretto stavolta da un giovane regista spagnolo, Luis Prieto, il cui primo film, Condon express, resta per il momento ancora in magazzino, in attesa forse di futura celebrità legata al successo di questa pellicola. E successo è destinato ad averlo Ho voglia di te, non fosse altro perché è un film decisamente più riuscito rispetto al precedente (di una pochezza imbarazzante ed ingiustificabile) nonostante gli imperdonabili difetti che non possono certo farcelo amare. Se nelle battute iniziali sembra di scorgere una certa ironia e anche una piacevole voglia di non prendersi troppo sul serio, col passare dei minuti (addirittura 110 quelli complessivi) diventa tutto troppo ridicolo, con le scene topiche involontariamente comiche, quando vorrebbero essere strazianti (su tutte quelle in ospedale al capezzale della madre, interpretata da una Caterina Vertova che carica di angoscia ogni singola parola). Ma, a parte evidenti buchi di sceneggiatura (la famiglia di Babi viene più volte mostrata sullo schermo, ma potrebbe benissimo non esistere) e le ingenuità legate alle continue coincidenze del ritrovarsi per caso in una grande metropoli, ciò che più inquieta di questo film sono i dialoghi che forniscono uno sconfinato campionario di frasi fatte, che forse faranno sobbalzare i cuori delle ragazzine più ingenue, ma che per un orecchio appena un po' più critico non possono che apparire dannatamente patetici, con quella tipica retorica che c'è nelle frasi ad effetto che si scambiano gli innamorati.

L'amore di cui parla Ho voglia di te è ancora una volta quello "per sempre", ed è decisamente paradossale dopo la precedente storia finita male (con uno strascico anche peggiore, con lei che usa lui per testare i propri sentimenti nei confronti di un altro), ma è proprio questa consapevolezza di fondo, questa certezza che la maggior parte degli amori in realtà non durano mai in eterno, che ci avvicina un po' di più alla storia di Step e Gin, rendendoli più umani e meno costruiti ad arte, ancora fermi come sono al mondo adolescenziale, nonostante gli anni che passano, che ancora testimoniano le proprie emozioni nei diari o nei lucchetti chiusi sul Tevere, o nelle scritte spropositate a deturpare il paesaggio della città eterna. E la tenerezza tra i due non muta mai in svenevolezza, così come le scene più bollenti non risultano volgari o gratuite. C'è insomma proprio tutto per far breccia ancora una volta nel cuore degli spettatori, compreso un colpo di scena che dà ancora più calore ad un sentimento che all'apparenza sembra nascere e svilupparsi in modo istantaneo, come una delle tante torte pronte cucinate dal trasparente fratello di Step durante tutto il film, ma che invece cela un lungo periodo di attese ed emozioni fotografate e custodite gelosamente. Peccato però che i due non abbiano mai una conversazione interessante o non vadano oltre le classiche tiritere da piccioncini pronti ad essere colpiti nell'orgoglio ad ogni passo falso dell'altro. E tutto il resto semplicemente non esiste, nonostante lo sforzo di delineare a grosse linee i tanti personaggi di contorno, senza però che ce ne sia uno solo che funzioni. Per tacere sull'ormai abusato discorso sulla tristezza della nostra televisione e sui suoi avvilenti dietro le quinte.

Ho voglia di te è un film che potrebbe benissimo intitolarsi "Tutte pazze per Scamarcio", data la facilità con cui il tenebroso attore pugliese riesce a far capitolare alle proprie labbra la ragazzina di turno. Il suo personaggio è ancora una volta quello dell'imbronciato Step, bello e maledetto con l'occhiaia languida, impegnato nuovamente nelle gioie e nei dolori dell'amore, sfoggiando un'invidiabile sicurezza nonostante l'assoluta mancanza di punti fermi nella sua vita o di obiettivi da raggiungere. Per fortuna accanto a lui c'è una luminosa Laura Chiatti, la più brava del parco attori, che torna al cinema dopo averci già fatto capolino in questa stagione con A casa nostra e L'amico di famiglia. Il suo personaggio è quello della ragazzina un po' fuori di testa, pericolosamente vicino al limite della macchietta, ma che invece risulta il più tenero del lotto, costruito in modo particolarmente affettuoso, forse per non attirarsi l'antipatia da parte delle fan più accanite dell'immarcescibile Babi (interpretata anche stavolta da un'inconsistente Katy Louise Saunders). Altra protagonista è la bellezza unica della capitale, anche se la Roma in cui si muovono i protagonisti è unicamente quella che toglie il fiato del centro storico, delle zone più ricche, tra i Parioli e Ponte Milvio, e, magia del cinema, anche il Tevere riesce addirittura a fare da romantica cornice all'amore e ai battibecchi dei due protagonisti. Il seguito di Tre metri sopra il cielo è un film estremamente furbo nel voler apparire a tutti i costi perfetto, che offre qualche momento godibile, senza però mai concedere buon cinema, che riflette sull'amore oggi, ma lo spiega con la piattezza delle frasi ad effetto. In tanti si emozioneranno guardando questa storia, perdendosi nella romanticità ostentata di un cielo colmo di stelle, e forse, quando c'è ancora il tempo e lo spazio per sognare, è giusto che sia così.