Recensione Michael (2011)

Nonostante alcune scene siano destinate a rimanere impresse nella mente degli spettatori, 'Michael' non colpisce quanto potrebbe o forse dovrebbe, per la sua volontà di non andare a fondo nelle motivazioni o nei sentimenti dei suoi protagonisti, limitandosi a mostrare soltanto.

La vita (segreta) di un uomo qualsiasi

Michael è un uomo come tanti, con un lavoro come tanti, ed una casa come tante. Ci sono buone possibilità che in una folla di persone nessuno finirebbe col notarlo, ma a Michael questo non dispiace, perchè lui non vuole essere notato. Non sappiamo nulla del suo passato, ma sappiamo che nel suo seminterrato nasconde un bambino di dieci anni, Wolfgang, un bambino a cui dà da mangiare, da bere e tiene segregato in una cella isolata acusticamente.

Esordio del quarantenne austriaco Markus Schleinzer, già casting director di oltre sessanta film, tra cui gli ultimi lavori di Jessica Hausner e di Haneke, questo Michael segue in pieno la scuola austriaca con uno stile asciutto e freddo ma tecnicamente ineccepibile, che però non lascia trapelare nessun giudizio da parte dell'autore, nonostante la storia che racconta sia da gelare il sangue.

L'ambiguità del rapporto tra rapitore e priginiero è infatti appena sfiorata, il mondo del bambino (ovvero i genitori, la sua vita precedente, la ricerca da parte della polizia) inesistente; a Schleinzer interessa solo mostrare un uomo che lotta per mantenere una parvenza di quotidianità e normalità in una situazione che di nomale non ha proprio nulla. Michael quindi gioca con il bambino, lo porta allo zoo, celebra il Natale con lui con la stessa agghiacciante tranquillità (e quasi noia) con cui lo molesta o lo abbandona per giorni.

Nonostante alcune scene siano destinate a rimanere impresse nella mente degli spettatori - come la caccia ad un nuovo bambino, così che possa fare compagnia a Wolfgang che lo attende con impazienza e addirittura aiuta a montare il letto a castello - Michael non colpisce quanto potrebbe o forse dovrebbe, proprio per questa sua volontà di non andare a fondo nelle motivazioni o nei sentimenti dei suoi protagonisti, limitandosi a mostrare soltanto.

Movieplayer.it

3.0/5