Recensione E' stato il figlio (2012)

Quella di Daniele Ciprì è un'opera matura e sorprendente che riesce a descrivere i perversi meccanismi di un microcosmo familiare rovinato dalle fondamenta, attraverso una lente deformante che ne amplifica a dismisura gli abominevoli difetti.

La tragedia di un uomo ridicolo

Un signore trasandato di nome Busu siede in un ufficio postale e aspetta pazientemente che arrivi il suo turno per avvicinarsi alla cassa e pagare le bollette. Per passare il tempo racconta ai suoi vicini di sedia favole di poco conto. Dalle leggende metropolitane ascoltate fin da bambino, arriva pian piano alla vicenda che conta di più, la storia dei Ciraulo. Nicola il capofamiglia si arrabbatta da sempre rivendendo il ferro vecchio rubato dalle navi in disarmo. Si considera vecchio anche se in realtà non lo è. Ha una moglie, Loredana, e due figli, Tancredi e Serenella, che dipendono da lui in tutto, così come gli anziani genitori Rosa e Fonzio. Quando la bambina viene uccisa per sbaglio durante un regolamento di conti di mafia, la serenità familiare si spezza. E' l'amico di sempre Giacalone ad offrire ai Ciraulo una via d'uscita. Possono chiedere allo Stato il risarcimento che si deve ai familiari delle vittime di Cosa Nostra. Soldi, tanti soldi, che serviranno forse per cambiare vita. Nulla però va come previsto, perché in preda ad una frenesia mai provata Nicola e gli altri iniziano a spendere prima di intascare la cifra agognata e in poco tempo si coprono di debiti. E quando il conto in banca finalmente si rimpolpa e destinato subito a rimpicciolirsi. Restano solo 80 milioni che Nicola decide di investire comprando una costosissima Mercedes nera. Un inutile sperpero di denaro che lo porterà direttamente alla tomba.


Il piccolo miracolo riuscito a Daniele Ciprì è quello di far (anche) ridere a partire da un soggetto così corposo e profondamente drammatico. Primo film italiano presentato in concorso alla 69.ma Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, E' stato il figlio è un'opera matura e sorprendente che riesce a descrivere i perversi meccanismi di un microcosmo familiare rovinato dalle fondamenta attraverso una lente deformante che ne amplifica a dismisura gli abominevoli difetti per scrutarli nel profondo con tutto il carico di dolore che portano con sé. Tratto dall'omonimo romanzo di Roberto Alajmo, quello di Ciprì è un atto d'accusa potente nei confronti della terribile violenza che un certo tipo di pensiero propone; un pensiero che impone la forza dei padri sui figli e che poggia sull'assoluta insensibilità delle madri. Frutto di una società in cui ciò che si possiede conta molto di più della propria vera identità, i personaggi si muovono sul palcoscenico allestito da Ciprì come fossero dei pupi i cui fili sono manovrati dall'alto. Ogni faccia è una maschera distorta, le voci sono sgraziate e gli sguardi strabici. Nella loro fisicità nervosa e nei movimenti a scatti c'è già l'anticipazione di un epilogo che lascia davvero poca speranza.

Utilizzando un tono che gli è assolutamente congeniale, Ciprì calca troppo la mano nella parte iniziale della pellicola, quando i caratteri risultano eccessivamente forzati e distanti per riuscire a coinvolgere nel profondo. Poi prendono finalmente corpo per diventare i protagonisti di un dramma universale che trova nel toccante ruolo di Buso, l'intenso Alfredo Castro, il cantore più ispirato, una specie di Forrest Gump che intrattiene le persone raccontando le storie disparate e disperate. E' lui il cuore pulsante del film, colui che tesse la trama del racconto, forte della sua posizione privilegiata. Chiave di volta della trama, l'omicidio di Serenella, spezza in due il racconto diventando l'origine di una catastrofe senza limiti, un'onda gigantesca che sommerge tutti, e che vedrà come ulteriore vittima il giovane e debole Tancredi. Grottesco, teatrale, con continui sguardi in macchina da parte dei protagonisti, che quasi vogliono rompere il diaframma che li separa dagli spettatori, il film di Ciprì offre una ricchissima galleria di uomini e donne mostruosi, intepretati in maniera impeccabile da un gruppo di attori che comprende Toni Servillo, Giselda Volodi e Fabrizio Falco; sotto la superficie 'pacificante' della battuta a effetto, si nasconde una tragedia che si offre a diverse chiavi di lettura. Non c'è solo la morte insensata della bambina a scandalizzare e a dover far riflettere, ma anche l'apatia di chi da quell'evento luttuoso tenta di ottenere qualcosa in cambio, cercando di monetizzare il lutto. Sarà una donna, una madre, a chiudere il cerchio del racconto in maniera definitiva, prendendosi la briga di decidere per tutti. E lo spettacolo può continuare.

Movieplayer.it

4.0/5