La guerra vista da un Appartamento ad Atene

Dopo aver ottenuto numerosi riconoscimenti internazionali, il regista Ruggero Dipaola porta sul grande schermo il suo film d'esordio offrendo un ritratto inedito del conflitto e del nostro cinema

L'avventura di Appartamento ad Atene ha inizio più o meno sei anni fa quando il regista Ruggero Dipaola si innamora del romanzo omonimo di Gleanway Wescott decidendo di trasformarlo nella sua prima regia. Scritto nel 1945 sul finire della seconda guerra mondiale, ma pubblicato in Italia solamente nel 2003, il libro concentra la sua attenzione sulla vita casalinga di una famiglia di greci costretti ad "ospitare" un capitano tedesco durante l'occupazione nazista. Da quel momento il padre Nikolas, la madre Zoe e i due ragazzi, Alex e Leda, perdono ogni diritto sui propri spazi e da padroni si trasformano in servi di un usurpatore. A questo intreccio naturalmente drammatico, Dipaola, sostenuto in fase di scrittura dai sceneggiatori Heidrun Schleef e Luca De Benedittis, decide di apportare delle modifiche, piccole sfumature nel carattere dei personaggi utili a rendere ancora più intensa la visione privata della guerra. Così sostenuto dall'interpretazione di Laura Morante, Richard Sammel e Gerasimos Skiadaresis, il film viene presentato al Festival di Roma 2011, dove vince la sezione Vetrina Giovani Cineasti Italiani. Da quel momento inizia un lungo percorso attraverso cinquanta manifestazioni nazionali e internazionali tra cui il Miff, l'Ischia Film Festival e il Los Angeles Greek Festival. Oggi, con ben 27 riconoscimenti all'attivo, Appartamento ad Atene affronta una delle prove più importanti, arrivando sul grande schermo dal 28 settembre in cinquanta copie per dimostrare che il cinema italiano può e deve ricercare storie diverse da raccontare.

Il film prende ispirazione dal romanzo omonimo di Glenway Wescott ambientato nella Grecia occupata dall'esercito nazista durante la seconda guerra mondiale. Ma più del conflitto in sè, nel film si mettono in evidenza i cambiamenti personali che nascono all'interno di una famiglia in seguito all'invasione della loro intimità da parte di un capitano tedesco. Cosa ti ha condotto verso questa vicenda? Ruggero Dipaola: Dopo aver opzionato i diritto del romanzo e aver scritto la sceneggiatura con Heidrun Schleef e Luca De Benedittis mi sono ricordato di alcuni racconti di mia madre riguardo la sua infanzia in tempo di guerra, quando nella loro casa in Abruzzo erano stati costretti ad ospitare un soldato tedesco. Probabilmente questo momento mi ha accompagnato inconsciamente per tutta la lettura del libro, ma non è l'elemento più importante della vicenda. Fondamentali sono le dinamiche che si creano all'interno dei membri della famiglia "invasa". La madre Zoe si mostra immediatamente sospettosa, il padre Nikolas sembra essere più fiducioso, mentre i figli Leda e Alex vivono l'evento da un punto di vista del tutto personale. In alcuni momenti sembra addirittura che la presenza del tedesco porti degli effetti positivi, come una ritrovata vicinanza tra la coppia.

Sono state fatte molte modifiche rispetto al testo originale? Ruggero Dipaola: Le differenze più importanti riguardano il personaggio di Zoe. Wescott la descrive come una donna quieta e fragile, che ha ormai perso il piacere della gioventù, mentre noi le abbiamo dato un carattere e una personalità più forte. La figlia Leda, invece, nel libro viene considerata come una bambola ritardata. Diversamente abbiamo preferito raccontarla come una bambina che ha subito uno shock da esplosione e, forse per questo, ha un approccio sognante alla vita. Alex, al contrario, è molto simile alla sua versione letteraria con un carattere mai domo. Per il personaggio del comandante non abbiamo fatto molti cambiamenti, mentre siamo stati d'accordo a mettere ancora più sullo sfondo la guerra per concentraci sui rapporti personali.

Signora Morante, la sua Zoe è un personaggio forte, dignitoso e affascinante. Cos'altro si nasconde in lei? Laura Morante: All'inizio volevo leggere il romanzo, ma quando Ruggero mi ha svelato che Zoe sarebbe stata completamente diversa ho deciso di rimandare. Lei non è fragile tutt'altro. All'arrivo del comandante tedesco la famiglia si spacca un po' in due. La madre e il figlio si trovano ad essere in opposizione al marito e a Leda che, al contrario, credono di poter creare un contatto umano con l'invasore attraverso la cultura e la musica. Zoe, invece, non si fida di quest'uomo fino alla fine e con ragione.

Ruggero Dipaola ha ammesso di averla voluta fortemente per questo film. Cosa l'ha convinta ad accettare? Laura Morante: Mi è piaciuta la sua tenacia. Con gli anni ho imparato che, insieme all'ostinazione, si tratta di uno dei segni del talento. Inoltre lui voleva intensamente realizzare il film con questo cast. Poi, naturalmente, il tocco di Heidrun Schleef nella sceneggiatura mi ha spinto a leggere il copione con maggior interesse. A lei sono legati molti dei miei ricordi cinematografici più importanti come La stanza del figlio e Un viaggio chiamato amore.

Appartamento ad Atene era stato già presentato nel programma del Festival di Roma 2011. Da quel momento, poi, ha iniziato un lungo viaggio attraverso manifestazioni nazionali e internazionali vincendo ben ventisette premi. In modo particolare come è stato accolto dal pubblico straniero? Ruggero Dipaola: Per quanto riguarda il Festival di Roma eravamo inseriti nella sezione dei giovani cineasti italiani che poi abbiamo vinto. All'estero il film, realizzato anche in greco con sottotitoli in inglese, ancora non è uscito ma siamo in trattativa con gli Stati Uniti, che sono stati conquistati dalla storia. I tedeschi, invece, hanno avuto una reazione negativa netta. O hanno amato la sceneggiatura oppure hanno detestato il film senza nemmeno vederlo, rifiutando di affrontare questa rilettura della guerra e del nazismo.

Signor Sammel, da attore tedesco poliglotta questo rifiuto da parte del suo paese la colpisce? Richard Sammel: In questi anni in tedeschi hanno fatto un gran lavoro per affrontare e considerare quanto accaduto durante la seconda guerra mondiale. Inoltre il cinema è solito appropriarsi di vicende drammatiche legate ai conflitti. Credo che ai tedeschi non sia piaciuto vedere un film italiano incentrato sui rapporti con i greci durante l'occupazione. In fondo, gli italiani proverebbero lo stesso di fronte ad una produzione straniera su, ad esempio, Garibaldi.

Il capitano Kalter dimostra di essere un uomo di grande cultura con una evidente sensibilità per la filosofia e la musica. Come può convivere tutto questo con l'intento distruttivo del nazionalsocialismo? Richard Sammel: Non sono degli elementi così dissonanti tra loro. Durante la guerra c'erano dei nazisti che hanno dimostrato un grande amore per l'arte e la bellezza, ma questo non gli ha impedito di distruggere una razza. La cultura, la tecnologia e il progresso non ha mai bloccato l'espressione della bestialità. Nel caso di Kalter ciò che fa scoppiare la sua aggressività è il trovarsi intimamente vulnerabili di fronte agli occhi del popolo invaso. Nikolas lo pone, involontariamente, di fronte al fallimento della filosofia nazista, riconoscendo in lui la stessa sofferenza di padre di fronte alla morte dei suoi figli. Un giudizio ingenuo, visto che l'altro continua a considerarlo semplicemente un servo.