Recensione Fast & Furious 5 (2011)

Fughe spettacolari, inseguimenti mozzafiato, ma anche tanti, tanti buoni sentimenti: perché se una cosa ha dimostrato la saga di Fast and Furious è che si può essere dei fuorilegge in piena regola, senza mai perdere il senso di giustizia e di rispetto reciproci; un trionfo dell'entertainment puro, insomma, in cui si chiede allo spettatore di partecipare senza troppi pensieri.

L'audace colpo dei soliti noti

Abbiamo lasciato Dominic Toretto solo e sconfitto, seduto su un pullman diretto al carcere di massima sicurezza che per i successivi 25 anni avrebbe dovuto accoglierlo; lo ritroviamo più libero che mai a Rio de Janeiro dove si è rifugiato dopo la rocambolesca evasione organizzata dall'amico fraterno Brian, ormai compagno di vita della sorella di Toretto, Mia. E siccome con le mani in mano non sa proprio starci, Dom decide di dare una mano a Brian e al vecchio sodale Vince collaborando al furto di alcune macchine di grossa cilindrata. Per un vecchio volpone come Dom si tratta di un colpo facile facile, che però si trasforma in un pericoloso boomerang. Quel bottino fa gola anche ad uno dei più pericolosi malviventi brasiliani, che nel motore di un'auto nasconde il chip che contiene il resoconto di tutte le sue attività illegali. Inseguito dalla squadra speciale dell'agente Hobbs e dagli uomini di Reyes, Dom decide di riunire tutto il vecchio team composto da sei fidatissimi collaboratori e assieme a Mia e Brian organizza la rapina del secolo, il prelievo 'forzato' di tutti i soldi di Reyes, 100 milioni di dollari che il criminale usa per corrompere la polizia locale e non solo. Un'ultima azione spettacolare, prima di far calare il sipario sulle sue attività e tornare ad una vita normale. Normale alla sua maniera.


Dopo The Fast and the Furious: Tokyo Drift e Fast & Furious - Solo parti originali, Justin Lin dirige anche il quinto capitolo di questa vera e propria epica del motore e in Fast & Furious 5 si diverte a tessere una trama dai meccanismi riconoscibilissimi, così come sono gli indiscussi protagonisti Vin Diesel e Paul Walker. Per non farsi mancare nulla il regista di origine taiwanese ripesca alcuni dei personaggi dei precedenti film e sceglie una new entry coi fiocchi, quel Dwayne Johnson, l'agente dell'FBI efficace quanto un castigo divino, che nella sua marmorea fisicità (per non parlare del viso) si rivela la presenza più azzeccata di tutta la pellicola. Non ci si può distaccare troppo da certi schemi, così Lin dosa con oculatezza gli ingredienti ormai classici della saga. Fughe roboanti, inseguimenti mozzafiato e tanti, tanti buoni sentimenti: perché se una cosa ha dimostrato il ciclo di Fast and Furious è che si può essere dei fuorilegge in piena regola, senza mai perdere il senso di giustizia e di rispetto reciproci.

L'evasione di Toretto non provoca vittime e se ci scappa il morto, non è certo lui il responsabile. I 'cattivi' sono in fondo dei buoni, i 'buoni' sono galantuomini e solo la feccia dell'umanità è punita a dovere. Non è un caso che il villain interpretato da Joaquim De Almeida non buchi lo schermo, perché quello che interessa è altro, ovvero l'equilibrio che si crea a suon di botte tra le due facce della stessa medaglia, i due veri antagonisti Vin Diesel e Dwayne Johnson. In questo minuetto al fulmicotone qualsiasi intrusione è fuori luogo. Che un ladro-truccatore di auto stimi il poliziotto che cerca di incastrarlo e che alla fine quest'ultimo subisca il fascino del muscoloso rivale in nome di un'affinità elettiva che va oltre i ruoli sociali, fa parte delle forzature che lasciano perplessi davanti alla visione di Fast & Furious 5; situazioni paradossali che però si accettano, naturalmente e solo se si è ben predisposti, in virtù di una totale partecipazione alle vicende di questi eroi sui generis. Rubano le macchine e pompano i motori, ma per loro la grigliata della domenica è sacra.

Sono i contrasti che rendono più gustoso un piatto altrimenti indigesto. Per tornare al cinema, questo si traduce in personaggi tagliati con l'accetta (ma con una buona dose di umorismo), fondamentalmente cafoni, guidati da un orgoglio coatto che è anche la loro forza. La storia è scarna ma ben strutturata, un congegno narrativo ben oliato che trova la chiave di volta nel racconto minuzioso della rapina; uno spartito che si fa sempre più ricco grazie alla varietà degli interpreti (la squadra di Toretto), i cui punti di vista non sono certo in primo piano, ma sono un ottimo spunto per moltiplicare i fili dell'intreccio. Tutto ciò supportato da un montaggio frenetico che è ormai diventato la cifra stilistica del franchise. Puramente decorativa la presenza femminile: se si eccettua per il personaggio di Jordana Brewster, la sorella del 'capo', per questo una spanna sopra tutti, e quello di Elsa Pataky, l'unica poliziotta brasiliana non corrotta, quindi subito destinata a diventare la dolce metà di Dom, le altre si limitano a ciondolare in vestiti striminziti attorno alle macchine pronte per le immancabili gare illegali. Un trionfo dell'entertainment puro, insomma, in cui si chiede allo spettatore di partecipare senza troppi pensieri. The Rock se la ride. Nulla da obiettare.

Movieplayer.it

3.0/5