Recensione Il mistero della pietra magica (2009)

Dimenticate i blasonati 'Goonies', che Rodriguez fiancheggia attivando due dinamiche antenne per i trend più cool in voga presso i giovanissimi, scordate gli effettismi di 'Tesoro, mi si sono ristretti i ragazzi', che 'Shorts' sorpassa per trovate spassose e clima scanzonato.

Imagine action

Se alcuni dei più famosi registi della cineland recente potrebbero avere problemi (o qualche disagio) a confrontarsi con prodotti a misura di bambini, senza ricorsi all'animazione classica né a quella 3D, avventurandosi tra snodi di plot che non siano triti e ritriti, ce n'è uno, probabilmente l'unico, che non sdegna affatto questo target anzi, pur continuando a dirigere vampire e zombie movie al limite del trash, del kitsch e dello splatter più ammiccanti, ha reinventato il filone cinematografico sperimentato da Steven Spielberg. Robert Rodriguez, ragazzaccio texano-messicano che sfodera uno smaliziato esibizionismo nei suoi colpi di genio un po' barocco, indefesso compagno di merende di Quentin Tarantino, con il quale ha collaborato più volte in tandem (a partire da Dal tramonto all'alba al fino al progetto Grindhouse), dirige un'opera esagerata, paradossale e tutta da ridere (di cui cura anche la colonna sonora, la fotografia e in cui supervisiona gli effetti speciali), confezionata ad hoc per i piccoli (ma anche i grandi) fan della sua intemperante trilogia di Spy Kids e per i nostalgici di film furbetti e sinistri come Gremlins.

Film disimpegnato, eccentrica avventura in un mondo fantastico ai confini di una realtà avveniristica e dei sogni più perturbati dei frenetici bambini di oggi, Il mistero della pietra magica racconta la storia dell'undicenne Toby "Toe" Thompson (il bravo Jimmy Bennett), protagonista e voce narrante che abita nella immaginaria cittadina di Black falls, una sorta di villaggio per il nuovo -discutibile- sogno americano, quello di risolvere ogni problema adoperando una mirabolante Black Box, scatoletta tecnologica multifunzione. Ad accompagnare Toe nelle sue disavventure quotidiane la mamma (Leslie Mann) e il papà Thompson (Jon Cryer), il cinico magnate della città Mr. Black (un irriconoscibile James Spader) e e i fratelli Loogie (Trevor Gagnon), Lug (Rebel Rodriguez), e Laser Short (Leo Howard). Le forze del male sono accumulate e concentrate nel nemico numero uno di Toe, Helvetica Black (Jolie Vanier, che tanto ricorda la Christina Ricci de La famiglia Addams). Una serie di situazioni inverosimili inizia a srotolarsi dopo l'apparizione di una pietra magica iridata, misteriosa manna caduta dal cielo che esaudisce i desideri di chi ne entra in possesso. Ma da grandi poteri derivano... grossi guai: da questo momento il film sembra infatti sdoppiarsi e proseguire la strada di un fragorosissimo videogioco sul grande schermo in cui lo spettatore sembra vorticosamente risucchiato al punto da non restare sconvolto dalla visione di una enorme caccola gigante, tripudio delirante della schizofrenica immaginazione di Rodriguez, una sorta di Godzilla del secolo della Wii.

Roba d'altri tempi! Dimenticate i blasonati I Goonies, che Rodriguez fiancheggia attivando due dinamiche antenne per i trend più cool in voga presso i giovanissimi, scordate gli effettismi di Tesoro, mi si sono ristretti i ragazzi, che Il mistero della pietra magica sorpassa per trovate spassose e clima scanzonato. L'outsider rockettaro riesce a portare la sua originalità visionaria anche in uno film per bambini catapultandoci in un mondo surreale in cui un'ipertecnologia cibernetica, da fare invidia alle maggiori aziende nipponiche, raccattata nel suo incredibile calderone creativo si carnifica compromettendo l'umanità. Le bizzarre fantasmagorie grafiche e le sorprendenti oscillazioni temporali che potrebbero frastornare i più piccoli non compromettono la riuscita di una commedia eversiva, di un action tutt'altro che blando, di un nuovo tipo di fantasy che reitera i suoi micidiali marchi di fabbrica stilistici e rigenera il concetto di "dimensioni" all'interno della sua ghiotta traccia narrativa più che nella forma visiva.