Recensione MalediMiele (2010)

Non viene mai pronunciata la parola 'anoressia' per tutti i 97 minuti della nuova opera di Marco Pozzi. Non c'è bisogno di esplicitare verbalmente un concetto che è ben presente nelle immagini, minimaliste ed eleganti, del film, così come nell'esistenza tormentata della giovane protagonista.

Il peso di un male

Sara è apparentemente un'adolescente modello. Figlia della media borghesia milanese, ottimi voti a scuola, popolare tra le amiche, nessun problema rilevante con i genitori. Eppure, Sara ha un doloroso segreto: un segreto fatto di privazioni, rinunce, di cibo freneticamente ingurgitato e poi vomitato, di un fisico che si assottiglia giorno per giorno, i cui contorni vengono compulsivamente tracciati da un pennarello, silenzioso testimone della sua consunzione. Sotto gli occhi ciechi delle persone che le stanno intorno, la ragazza continua a dimagrire con costanza, nella testa i precetti dell'assurdo "decalogo" trovato in Rete, il mantra "38 peso perfetto" come guida e un'immagine di forma fisica idealizzata, mortalmente pericolosa quando si cerca di tradurla nella realtà. Con impegno e dedizione quasi religiosi, Sara continua a vivere la sua doppia vita, finché un malore improvviso non rivela a tutti la realtà della sua condizione. Ma aiutarla, a questo punto, non sarà facile, vista la gabbia in cui la ragazza si è ormai rinchiusa.


Non viene mai pronunciata la parola "anoressia" per tutti i 97 minuti di MalediMiele, nuova opera del regista milanese Marco Pozzi. Non c'è bisogno di esplicitare verbalmente un concetto che è ben presente nelle immagini del film, e nell'esistenza tormentata della giovane protagonista; così come non c'è bisogno di dare enfasi al racconto, di mostrare in modo ricattatorio la sofferenza, di abbozzare riflessioni sociologiche. Per sua esplicita ammissione, il regista non voleva fare un film sull'anoressia, ma piuttosto raccontare la storia di un'adolescente anoressica, mostrare la sua vita senza dare giudizi e lasciando che fossero le immagini a parlare. Nessun voyeurismo dello sguardo, quindi, nessuna sottolineatura visiva della consunzione fisica della protagonista (la protagonista Benedetta Gargari ha perso giusto qualche chilo per interpretare il ruolo) e nessun tentativo di spiegare le motivazioni che possano condurre un'adolescente su quel sentiero. La regia di Pozzi, con un minimalismo che non manca di eleganza, ci fa piuttosto tallonare la sua protagonista, mostrandocela da vicino in ogni istante della giornata, da quelli della sua vita palese e "solare" a quelli più cupi e nascosti; con i cartelli che ossessivamente, giorno per giorno, segnano il suo peso, il lenzuolo su cui viene tracciata la sua forma che si assottiglia sempre più, le confessioni notturne alla webcam sotto un pesante trucco, sogni lucidi di una meta ferocemente auto-imposta.

Il digitale pulito e quasi asettico della fotografia ci mostra le strade di una Milano indifferente, neutra, spersonalizzata e priva dei suoi tratti distintivi; mentre è sottilmente inquietante il bianco degli interni della casa di Sara, che esprime un senso di soffocamento quasi subdolo, impercettibile ma sempre presente. Il teatro ideale per una storia di sofferenza muta, in cui chi potrebbe vedere (i genitori, tra cui spicca un raggelato Gianmarco Tognazzi) si rivela incapace di farlo, salvo poi sfogare la propria frustrazione con rimproveri misti a bugie ("credevi che non ci fossimo accorti di niente?"). Solo qualche momento onirico, raffigurazione di sogni dalle simbologie comunque abbastanza leggibili, va a spezzare il sostanziale realismo della messa in scena; oltre a un paio di effetti di straniamento, in cui la protagonista guarda in camera e si rivolge direttamente allo spettatore. Sono proprio i momenti in cui il tono diventa maggiormente esplicito a convincere meno, sia nella tenuta della narrazione, sia nella recitazione della giovane Gargari, assolutamente apprezzabile quando si mantiene invece sottotraccia. Una prova, quella della protagonista, comunque complessivamente positiva, considerata anche la difficoltà intrinseca del ruolo e il fatto che il peso del film ricadesse di fatto interamente su di lei.
Più in generale, di una pellicola come MalediMiele va sottolineata l'importanza per il tema trattato, per l'esperimento educativo/informativo che viene affiancato al film (a breve partirà infatti una distribuzione parallela nelle scuole) oltre che per il coraggio nel proporre un argomento del genere senza cedimenti al patetismo, asciugandolo da qualsiasi contaminazione emotivo/spettacolare. Una scelta che rischia sovente di trasmettere un senso di freddezza anche allo spettatore (e in alcuni momenti capita) e che finirà probabilmente per rendere il prodotto ancor più "di nicchia", poco appetibile per un grande pubblico già tenuto fuori dalla limitata distribuzione. Ma l'aver affrontato un tema così scomodo e rimosso (specie dal cinema) e l'averlo fatto senza indulgere in pietismi o moralismi di sorta, è sicuramente un merito da ascrivere a Marco Pozzi e al suo lavoro, in gran parte interessante anche dal punto di vista estetico.

Movieplayer.it

3.0/5