Recensione Teza (2008)

la profondità tematica e l'ampio respiro che il regista imprime alla narrazione non bastano a far dimenticare i difetti del film, primo tra tutti il desiderio di colmare ogni lacuna con un ampio didascalismo.

Il grido di dolore di un popolo

Malcom X in salsa etiope, Teza è un lungo biopic diretto dal maestro Haile Gerima che ritrae la vita dell'intellettuale africano Anberber, dagli studi di medicina in Germania al ritorno nel suo paese d'origine durante la dittatura marxista di Haile Mariam Mengistu. La scelta del regista di focalizzarsi su un unico personaggio per raccontare la storia di un intero paese punta a costruire un epico affresco che narri le conseguenze dell'occupazione fascista in Etiopia, quali la durissima controreazione marxista che cancella le utopistiche speranze di libertà gettando un intero popolo nel terrore e la guerra civile tra fazioni opposte. Anberber si sposta dalla Germania nazista, dove subisce durissimi attacchi a causa del colore della pelle, all'Etiopia afflitta da mille problemi quali l'arretratezza, il sottosviluppo, la povertà, l'assenza di un legislazione che protegga i più deboli. Il regista oscilla costantemente tra particolare e universale. Sullo sfondo della storia personale di Anberber scorre il destino di un'intera nazione. Per narrare la sua lunga parabola che scava in profondità per far luce sulla radice dei problemi che affliggono la sua patria, Gerima sceglie la modalità del flashback. La cornice vede, infatti, il protagonista che torna al villaggio e alla famiglia d'origine con una gamba mutilata dopo essere stato ferito in un violentissimo pestaggio a sfondo razzista.

La narrazione di stampo rigorosamente classico contrassegna una pellicola di ampio respiro e di altrettanto ampia durata. I 140 minuti di Teza si fanno sentire in parte per via dell'eccessiva lentezza, ma soprattutto a causa della scarsa varietà narrativa dominata da una continua alternanza tra passato e presente, tra sequenze dialogiche e ampie pause diegetiche in cui la dimensione biografica cede il posto a squarci onirici o lunghe panoramiche sui paesaggi africani la cui bellezza non è supportata da un'adeguata fotografia. Vista l'importanza dell'argomento trattato è sicuramente apprezzabile la scelta del regista di limitare il lavoro sullo stile fine a se stesso per concentrare l'attenzione sul dramma personale del protagonista, interpretato dal bravissimo esordiente Aron Arefe. Purtroppo la profondità tematica e l'ampio respiro che il regista imprime alla narrazione non bastano a far dimenticare i difetti del film, primo tra tutti il desiderio di colmare ogni lacuna con un ampio didascalismo, in parte comprensibile vista la volontà di testimoniare nel modo più chiaro e diretto il dramma di un popolo di cui l'Italia per prima dovrebbe farsi carico vista la sua pesante responsabilità storica nell'attuale situazione etiope. In molti gridano al capolavoro rivendicando la bellezza di un cinema anti fast-food che si contrappone allo strapotere del modello hollywodiano dominante. A noi resta la consapevolezza di un lavoro senza dubbio importante, ma che non riesce a superare lo scoglio stilistico risultando eccessivamente sbilanciato sul piano contenutistico senza che ad esso si affianchi una forma adeguatamente coinvolgente.

Movieplayer.it

2.0/5