Recensione Un mostro a Parigi (2011)

Gli sforzi principali di Bibo Bergeron sono concentrati sull'animazione e sulla resa del 3D, infatti il film si distingue per la grazia del tratto, per la sinuosità dei personaggi, per un'apparente semplicità che nasconde un lavoro certosino nella ricostruzione di un'epoca e della sua atmosfera.

Il fantasma dell'alluvione

Prendete Il fantasma dell'opera, aggiungete un pizzico di King Kong, mixate il tutto con La bella e la bestia e voilà. Ecco Un mostro a Parigi, delicato lungometraggio animato firmato dal regista di La strada per El Dorado e Shark Tale Bibo Bergeron. Dopo una lunga gavetta alla DreamWorks, Bergeron ha deciso di ambientare il primo lavoro di cui è anche co-sceneggiatore nella sua Parigi recuperando un gusto tutto europeo nella costruzione dei personaggi e nella raffinatezza dei dettagli, senza però rinnegare la moda citazionista tipicamente americana. Prodotto dalla Europacorp di Luc Besson, Un mostro a Parigi - al pari di Hugo Cabret di Scorsese - è un omaggio esplicito a un'epoca, a una capitale, alla sua arte e al fascino immenso che emana ogni suo angolo, ma soprattutto al cinema. Il film si apre, infatti, con un frammento di pellicola che più tardi scopriremo essere solo un sogno. Titolare della fantasia onirica è il timido proiezionista Emile, da sempre innamorato della bigliettaia Maude, ma incapace di dichiarare alla donna i propri sentimenti.


Bibo Bergeron fa della sua opera più personale - dedicata, tra l'altro, al padre - un divertissement in cui far confluire le proprie ossessioni. La presenza di Emile in apertura non è altro che un espediente. Dopo un avvio sprint che ci permette di perlustrare con lo sguardo la splendida Parigi, avvolta nella foschia e semisommersa dall'acqua (la storia si svolge durante l'alluvione del 1910), la narrazione svolta bruscamente per introdurci i due veri protagonisti: la bella cantante di cabaret Lucille e il mostro del titolo, generato per un caso fortuito dall'arruffone Raoul, fattorino amico di Emile innamorato da sempre di Lucille. La 'creatura' in questione, totalmente inoffensiva, non è altro che una pulce troppo cresciuta a causa di una pozione, un essere dotato di uno straordinario talento musicale che presto inizierà a esibirsi al fianco di Lucille. E visto che niente è lasciato al caso Francoeur (così viene ribattezzato il mostro dall'ugola d'oro) si presenta in scena con gli abiti e la maschera di Claude Rains per poi fuggire, nel climax finale in cui viene perseguitato dal villain del film (un commissario sbruffone invaghitosi di Lucille), fin sulla cima della Torre Eiffel da cui precipiterà dopo essere stato ferito. Il metacinema, da semplice elemento narrativo, si trasforma in cornice strutturale della vicenda, in miniera inesauribile alla quale attingere per ogni necessità.

Piacevole e dinamico, Un mostro a Parigi corre rapido verso il finale a sorpresa (occhio alla scena che segue i bei titoli di coda). Bibo Bergeron ci consegna un'opera elegante e vivace, ma priva di un sottotesto che la elevi dallo status di puro intrattenimento. Gli sforzi principali dell'autore sono concentrati sull'animazione e sulla resa del 3D, infatti il film si distingue per la grazia del tratto, per la sinuosità dei personaggi, per un'apparente semplicità che nasconde un lavoro certosino nella ricostruzione di un'epoca (la Parigi dei primi del '900 con le sue viuzze, i café e i monumenti) e della sua atmosfera. La palette sfumata attinge all'opera di artisti quali Sisley e Caillebotte e alle foto d'epoca con risultati suggestivi. Se la trama, a conti fatti, risulta troppo esile ad arricchire il tutto ci pensano le canzoni perfettamente integrate nel contesto eseguite, nella versione originale, dalla voce roca e sensuale da donna bambina di Vanessa Paradis e da Mathieu Chedid, autore dei brani, mentre nella versione italiana a prendere il loro posto ci pensano i cantanti Raf e Arisa.

Movieplayer.it

3.0/5