Harry Potter, l'ultimo incantesimo

Il capitolo finale delle avventure filmiche del giovane mago creato da J.K. Rowling è approdato nelle sale di tutto il mondo. In attesa di conoscere i risultati al botteghino, tiriamo le somme a modo nostro...

Sette romanzi, otto film, un miliardo di dollari (e spiccioli) nelle tasche di una bionda e timida signora britannica che, mentre cercava un lavoro stabile e cresceva da madre single la sua primogenita col supporto dei servizi sociali, ebbe l'idea di raccontare la storia di un orfano undicenne che scopre da un giorno all'altro di essere un mago.
La stessa J.K. Rowling ha ammesso che forse, tra dieci anni o giù di lì, le potrebbe tornare la voglia di rivisitare il mondo di Harry Potter, ma per il momento, con l'uscita di Harry Potter e i doni della Morte - Parte 2, la saga è ufficialmente conclusa. E non certo in sordina: gli osservatori e i sondaggi, infatti, azzardano previsioni che definire ottimistiche è un eufemismo il week end di apertura, paventando addirittura la possibilità di battere il record de Il cavaliere oscuro, che realizzò un debutto domestico di oltre 158 milioni di dollari. Da noi, il film di David Yates ha già battuto un record, quello per il giorno di apertura, e le stime puntano ad un incasso di oltre cinque milioni nelle prime 48 ore, praticamente se non siamo dalle parti di Avatar e di Che bella giornata ci manca davvero poco.

Ma i conti li faremo lunedì. Quel che è certo già ora è che il franchise cinematografico di Harry Potter sorpasserà quello di Star Wars (anche se in termini economici e non di pubblico), divenendo la saga più proficua di tutti i tempi. Rispetto alla serie creata da George Lucas, la gallina dalle uova d'oro di casa Warner ha avuto il vantaggio di avere alle spalle un successo letterario con pochi precedenti come quello dei romanzi della Rowling, che hanno venduto oltre 400 milioni di copie in tutto il mondo e sono stati tradotti in 67 lingue, inclusi latino e greco antico. La saga di Harry Potter, inoltre, ha contribuito - e allo stesso tempo colto i frutti - al revival del fantasy filmico che ha caratterizzato gli anni Zero, affiancata, naturalmente, alla trilogia de Il signore degli anelli. Ma rispetto a quest'ultima, che era tratta da un libro che aveva avuto il suo momento di gloria soprattutto tra gli anni '60, e '70, il ciclo potteriano è molto legato alla nostra epoca, in cui il pubblico giovane è sempre più determinante per la prosperità economica degli studios, come dimostrano le classifiche stagionali degli incassi degli ultimi anni. Così, anni prima dell'exploit di Twilight, Harry Potter è stato il primo vero fenomeno seriale cinematografico dell'epoca globalizzata e digitale, e chi, come noi, parla di cinema su Internet da oltre dieci anni, non ha potuto non notare come la stessa rete abbia contribuito al diffondersi della popolarità della saga e dei suoi giovani intepreti, alla coesione della fandom, alla diffusione inarrestabile della febbre da Pottermania.
La Warner e i produttori del film hanno saputo sfruttare dunque in maniera esemplare le felici premesse del progetto, riuscendo a ricreare un intero mondo virtuale, lanciare diverse star, reclutare uno stuolo di straordinari talenti britannici, creare nuovi lettori, realizzare in tempi da record il parco divertimenti The Wizarding World of Harry Potter, e chi più ne ha più ne metta. It tutto senza tralasciare di coinvolgere la soave Jo Rowling, che ha anche ricoperto il ruolo di produttrice per gli ultimi episodi della saga, e i suoi impegni umanitari.
Peccato che a cotanta perfezione dal punto di vista della comunicazione e del marketing non abbiano corrisposto pari meriti artistici; anzi, è sintomatico il fatto che, dopo la flessione di gradimento registrata con il terzo episodio Harry Potter e il prigioniero di Azkaban, l'unico a cui aveva messo le mani un vero "autore", tra i tanti il cui nome era stato inizialmente associati alla saga (Spielberg, Burton, Gilliam), la produzione abbia voluto, in un certo senso, riprendere in mano il pieno il controllo dell'operazione, finendo per affidare ben quattro episodi della serie a un docile semi-esordiente come David Yates - uno yes man, direbbero i maligni.
Yates ci sembra in ogni caso aver fatto un lavoro decisamente migliore di quello, infantile, legnoso e didascalico, di Columbus e Newell, e ci auguriamo che ci smentisca dimostrando nel proseguimento della sua carriera un piglio personale e caparbio; nel frattempo godiamoci un episodio finale che, confermando l'eccelso livello tecnico e produttivo dell'intera serie, regala anche molte emozioni.
Se poi sarà davvero solo un arrivederci e non un addio, nemmeno la professoressa Cooman si azzarderebbe a ipotizzarlo...