Good as You: Mariano Lamberti racconta il bello e il brutto dell'amore

Il regista e il cast hanno presentato l'adattamento cinematografico della commedia teatrale di Roberto Biondi: un affresco sincero, ironico e libero da pregiudizi sull'amore contemporaneo, poco importa se gay o etero.

E' capodanno, e a casa di Adelchi tutto è pronto per una festa. Tranne gli invitati, primo fra tutti Claudio, misterioso nuovo amore conosciuto in chat e non ancora incontrato, così come le sorelle di entrambi, Silvia e Francesca: l'una, reduce da una convivenza fallimentare, l'altra alle prese con le ambizioni di una ex volitiva e di una nuova compagna capricciosa. Poi c'è Marco, migliore amico di Adelchi, e il suo nuovo fidanzato sudamericano, troppo libertino perfino per il re delle notti gay romane. Si sa che la sera di San Silvestro è terreno fertile per la nascita di amori improvvisati, ma il film di Mariano Lamberti, tratto da una commedia teatrale di Roberto Biondi con cui condivide anche un interprete (l'istrionico Diego Longobardi, qui anche in veste di produttore), testimonierà anche il destino di queste relazioni improbabili sottoposte alla prova del tempo. Con umorismo e schiettezza, l'eterogeneo e azzeccatissimo cast offrirà un punto di vista fresco, libero da moralismi, sull'amore, sia esso gay o eterosessuale: proprio dell'universalità del messaggio del film si è parlato in conferenza stampa, in compagnia anche del regista e del distributore, Christian Lelli per Iris Film.

Christian Lelli: Con Davide (il produttore Davide Tovi, n.d.r.) ci siamo incontrati durante le riprese: fin da subito mi è sembrato un progetto divertente, originale, colorato, e quindi abbiamo deciso di scommetterci su. Abbiamo creato, anche con gli altri produttori, una serie di sinergie interessanti. Per quanto riguarda la distribuzione, abbiamo cercato di essere attenti nella selezione delle sale: questo weekend usciranno dalle cinquanta alle ottanta copie, per la maggior parte in sale cittadine dedicate a questo tipo di cinema, proprio per non sprecare visibilità. Io credo che dal punto di vista della regia questo sia un ottimo prodotto, e che abbia anche avuto dalla sua una produzione egregia.

Diego Longobardi: Questo film ha una storia travagliata: nel 1999 debuttava la commedia teatrale di Roberto Biondi, che poi abbiamo rappresentato per anni, e spesso la gente ci chiedeva se non avessimo pensato di farne un film. Ma bisogna considerare che fare, in Italia, un film che si chiama Good as You, ovvero GAY, è una cosa da matti. Soprattutto perché volevamo che fosse rispettato lo spirito del lavoro di Roberto, che qui Mariano ha saputo cogliere in pieno. Poi abbiamo avuto delle difficoltà con il cast, con alcune defezioni di attori che prima si erano detti interessati e poi hanno rinunciato al progetto. Ma devo dire che quello che vedete qui oggi è il cast giusto, proprio perché è voluto da noi ma anche da loro stessi, che hanno creduto nel proprio ruolo prima e nel film poi.

Quali difficoltà avete incontrato nel realizzare il film? Ci sono stati anche dei problemi con la censura?
Mariano Lamberti: Non è tanto difficile fare un film sui gay, quanto farne uno in cui il punto di vista cambia radicalmente rispetto al solito. Qui non c'è una società che rifiuta gli omosessuali, o un genitore che non accetta il proprio figlio.
Diego Longobardi: Insomma, non è un punto di vista etero.
Mariano Lamberti: Esatto. Questo cambio di prospettiva sembrava dovesse presentare i gay come dei marziani, mentre noi volevamo far vedere che vivono proprio come i terrestri. Questa non è la storia di una donna borghese che scopre l'omosessualità del marito e si cala nel mondo meraviglioso della comunità gay, qui si racconta l'omosessualità dal di dentro. Farne una commedia poi è ancora più difficile, perché la commedia è vista in qualche modo come un genere di serie B, e scegliendola abbiamo quindi voluto essere oltraggiosi fino in fondo. Gli argomenti che si discutono sono seri, forti, e noi li abbiamo affrontati senza la paura dello stereotipo. Per quanto riguarda la censura, finora non abbiamo avuto problemi.

Il finale, che affronta il tema della paternità, potrebbe essere visto da qualcuno come eccessivamente provocatorio.
Mariano Lamberti: Quello di avere un figlio è un desiderio legittimo, come dimostra l'esistenza di tantissime cosiddette "famiglie arcobaleno", un fenomeno ben più diffuso di quanto non si pensi. Anche perché il modello della coppia tradizionale è ormai messo in discussione, quindi è bene riformularlo.

Lorenzo, come ti sei avvicinato al tuo ruolo?
Lorenzo Balducci: Io ho fatto il primo provino circa un anno fa. Si trattava di una scena di coppia tra Adelchi e Claudio, e già lì emergeva almeno il 50% del mio personaggio, questo control-freak, possessivo, che crede nella coppia ma che la vede più come un ideale che come un modo per vivere l'amore. E' una personalità che può essere gay come etero, perché i suoi dubbi sono universali: anche io in parte sono così, e infatti il mio lavoro sul personaggio è stata anche una scoperta divertente. Innanzi tutto perché si trattava di una commedia, e poi perché, visto che abbiamo dovuto girare in pochissimo tempo, ho cercato di dare qualcosa di mio ad Adelchi: chiedevo continuamente a Mariano di poter improvvisare, o di aggiungere particolari che dessero colore alla mia interpretazione, che sono anche le cose che mi piace di più vedere quando sono io a fare da spettatore.

Daniela, come ti sei travata ad interpretare Silvia?
Daniela Virgilio: Io mi sono unita al cast a due giorni dalle riprese, in più il mio personaggio è l'unico etero, o meglio: definiamolo confuso. Quindi mi sono concentrata proprio su questo aspetto, quello della confusione, più ovviamente sulla sua "stronzaggine". Credo che questo film, essendo nato da tanti attori diversi, da tante energie diverse, si fondi proprio sul rapporto che si è creato tra di noi, oltre che sullo studio dei personaggi. Mi sono divertita molto nell'interpretare questo ruolo molto diverso da me, in cui finalmente sono riuscita ad essere una stronza, cosa che nella vita reale non sono affatto, e mi è piaciuto lavorare a fianco di altri personaggi eccentrici, estremi, con sfumature nuove.

Lucia, come hai creato la tua Francesca?
Lucia Mascino: Io sono entrata nel cast mesi prima, e mi sono innamorata del film innanzi tutto perché mi piaceva Mariano. L'ho conosciuto al provino, mentre lui mi conosceva già perché mi aveva già visto recitare, e ho sentito subito di potermi affidare a lui. In più quel giorno c'erano anche Elisa e Micol, e anche per questo motivo ho accettato subito la parte. Mi sono fidata: mi piaceva l'idea della commedia, perché ho sempre pensato di fare un po' ridere. E poi, per la seconda volta, mi sono trovata a fare delle prove per il cinema, cosa secondo me fondamentale ma che non si fa mai. In quei venti giorni in cui sei sul set hai talmente tanti input che arrivare con un personaggio già strutturato, provato e riprovato, alla fine lo fa davvero venire fuori come lo vuoi tu. Mi è piaciuto molto lavorare con questo gruppo così variegato, penso che non ci saremmo mai incontrati se non fosse stato per questo film.

Che tipo di pubblico è indirizzato questo film? E nel finale non passa il messaggio che essere gay significhi essere più vivi e più felici rispetto agli eterosessuali?
Mariano Lamberti: Pensavamo a un pubblico tanto gay quanto etero: volevamo essere innanzi tutto rispettosi del realismo della comunità omosessuale, ma anche raccontare una storia dalla dimensione universale. Per quanto riguarda il finale, bisogna pensare che i gay vengono da duemila anni di invisibilità, e quindi non hanno modelli di riferimento: possono quindi riformulare una nuova figura di essere umano, in cui il matrimonio non è più un dato acquisito. Non si tratta di anarchia, ma di determinazione a scegliere il modo giusto di vivere la propria vita.
Diego Longobardi: Qui il diventare genitori è un atto d'amore tra due amici, che avviene in modo casalingo, con semplicità. Spero che grazie a questo molte persone capiranno che dare amore a un figlio non significa averlo concepito in maniera tradizionale, ma vuol dire crescerlo con responsabilità: d'altra parte il mondo è pieno di figli concepiti convenzionalmente, ma che poi non sono amati dai propri genitori.
Mariano Lamberti: Nel 1997 ho realizzato un documentario dedicato alla famiglie gay e, esplorando la comunità americana, ho scoperto che ormai quelle famiglie avevano già dei nipoti, mentre qui in Italia siamo ancora alla fase dei concepimenti nascosti. In America invece hanno capito da tempo che la famiglia è sempre una famiglia, che sia etero o che sia gay.

Micol, come è nata la tua collaborazione al progetto?
Micol Azzurro: Sono stata coinvolta fin da subito nel progetto, e ho potuto familiarizzare con il mio personaggio, che è confuso, ma di una confusione diversa rispetto a quella del personaggio di Silvia. Mi sono chiesta come sarei potuta riuscire a raccontare la verità di un amore omosessuale, quando io vivo liberamente la mia eterosessualità. Ma poi ho capito che non aveva senso chiedersi che cosa voglia dire essere gay. Il punto è saper amare qualcuno, e io credo di saperlo fare. Marina forse non ama se stessa prima di tutto, e cerca la sicurezza nell'esteriorità: è un problema comune a molte donne. Devo dire che mi ha aiutato molto la presenza di Mariano sul set, ci è stato sempre accanto in ogni modo e ci ha trasmesso una grande tranquillità, oltre al suo punto di vista chiaro sui nostri personaggi, nel quale io ho sempre creduto.

Mara è uno dei personaggi più forti del film.
Elisa Di Eusanio: Mara è una lesbica verace, mascolina, si potrebbe quasi dire che sia nata in un corpo sbagliato: è quella che si definisce una butch. Io mi sono innamorata del mio personaggio e ho cercato di colorarlo il più possibile, attingendo dalla realtà, dalle mie amiche, da quello che ho visto nei locali. Ho lavorato molto sulla rabbia, perché Mara crede fermamente nell'amore ma, come capita a molte butch, è attratta da ragazze eterosessuali. Tanto tempo fa Mariano mi aveva vista a teatro e da lì è nata una bella amicizia: questo per dire che la fortuna del film per me è stata il suo cast, perché ci vogliamo bene e questa è una grande vittoria. Mara può sembrare una macchietta? Forse, ma io in lei ho creduto veramente, e spero che questa verità sia arrivata oltre lo schermo.

Luca, parlaci del personaggio di Nico.
Luca Dorigo: Nico è un argentino di origini venete, infatti, come potete sentire, sono ancora un po' dentro al personaggio... Comunque è stata un'esperienza splendida, mi sono impegnato tantissimo a fare per passione quello che i miei colleghi fanno da sempre, e li ringrazio perché mi hanno insegnato tanto. Nico è libero e spensierato: gli piacciono le donne, gli uomini, e io non ho avuto difficoltà a credere in questo personaggio perché, avendo vissuto a San Francisco, ho sempre percepito la realtà gay come normale. Qui in Italia vige la regola dell'"avere per essere", mentre bisognerebbe pensare prima a essere, e poi ad avere: la libertà di essere se stessi è la cosa più importante, per avere la felicità. Anche io ho avuto un'ottima esperienza con il cast, specialmente con Diego, che interpreta il mio partner.

Enrico, raccontaci la tua esperienza con il ruolo di Claudio.
Enrico Silvestrin: Io sono arrivato sul set molto prima di Daniela: ben cinque giorni prima dell'inizio delle riprese. Devo ringraziare il perbenismo, o il bigottismo, di colui che mi ha preceduto. Io forse sono meno analitico, meno preoccupato: ho letto la sceneggiatura e mi è piaciuta, ma, cosa ancora più importante, mi ha interessato subito il mio personaggio. Per me è stato particolarmente difficile perché molto diverso da me nelle sue dinamiche: Claudio è compresso, ambivalente, controllato in modo da poter sfuggire, alla propria personalissima maniera, al controllo altrui. Sono entrato nel personaggio dopo circa una settimana di riprese: non volevo fare l'etero che fa il gay, che si risolve sempre nello stereotipo della pazza o, semplicemente, nel rimanere etero. Ho cercato di lavorare sulle sfumature, e in questo per me Mariano è stato fondamentale: io gettavo ami, facevo tentativi, e lui più di una volta mi ha detto "anche meno", mi ha frenato in certe esagerazioni. D'altra parte il mio è il personaggio meno comico di tutti. Poi non capisco la morbosità di chi chiede: allora, com'è baciare un uomo? Perché nessuno chiede com'è fare una rapina in banca, o interpretare un assassino? Quello va bene, ma essere gay no?

Diego, tu sei tornato nuovamente nei panni di Marco.
Diego Longobardi: Si, io interpreto lo stesso ruolo che interpretavo nello spettacolo teatrale, che è un po' quello di colui che deve creare scompiglio, ma che ha anche sentimenti profondi. Lui è l'ultimo che si possa sospettare abbia ambizioni di concepimento. Ma spesso si additano gli eccentrici, quando sono in realtà quelli che creano il gruppo, l'unità. Nelle manifestazioni che chiedono diritti per la comunità gay sono spesso queste persone a essere protagoniste: non ho visto molti ingegneri, o avvocati in giacca e cravatta sotto il Parlamento. Prima di accusare di esibizionismo chi manifesta, chi va ai pride, forse bisognerebbe ringraziare queste persone perché cercano di far arrivare la propria voce là dove deve arrivare. Sono molto contento di aver fatto parte di questo film e spero sia piaciuto.

Alcuni personaggi non si rifanno eccessivamente a dei cliché? E come mai è solo Mara a credere nell'amore?
Mariano Lamberti: Su otto personaggi, solo due ricalcano degli stereotipi, quelli di Diego e Elisa. Ma ciò che li differenzia dai gay rappresentati finora al cinema è che le loro sono maschere consapevoli, che rivendicano lo stereotipo. Il cliché visto finora è quello della checca esibita per far ridere gli etero, mentre qui c'è consapevolezza da parte dei personaggi.
Elisa Di Eusanio: Si è trattato di una scelta: il film è una commedia che ricorda un po' una sit-com, quindi tutti i suoi personaggi sono estremi, volutamente. Noi abbiamo fatto vedere uno spaccato della realtà gay, non vogliamo essere i paladini della verità, né rappresentare l'intera comunità omosessuale, ma mettere in luce qualcosa che effettivamente esiste. In effetti, sembra strano che l'unico personaggio a credere nell'amore sia la butch, ma poi, in realtà, anche Francesca a suo modo ci crede, e sa amare.
Mariano Lamberti: Noi avevamo sì paura dello stereotipo, ma non tanto da nasconderlo, anzi: non bisogna temere di mostrarlo. Insieme alla dinamica dell'amore gay, che è poi una dinamica universale.
Enrico Silvestrin: Bisogna poi distinguere tra cliché e tipologia. Gli stereotipi esistono anche nella vita reale, il fatto di combinarne due fa parte del film, che infatti non è una storia reale, ma verosimile. Siamo tutti iscrivibili in tipologie, è nella natura della commedia e della fiction.
Elisa Di Eusanio: Se tutti i personaggi fossero dei paladini dell'amore, si rischierebbe il patetico. Il personaggio di Mara provoca, nel suo cercare l'amore nonostante tutto, proprio perché è l'unica a farlo: un mondo gay in cui tutti credono nelle favole non sarebbe reale.
Enrico Silvestrin: In realtà anche Adelchi crede nell'amore: nella coppia, sono io quello sleale. Ad esempio, nella scena dell'ospedale traspare tutto il suo attaccamento all'amore, quantunque in Mara sia più evidente perché il suo è un personaggio più verace.
Lorenzo Balducci: Lo stesso gesto di Marco e Francesca è un gesto d'amore, seppur anticonvenzionale. Io ho apprezzato moltissimo che il film racconti anche le difficoltà, il disagio di vivere una relazione anche nel mondo gay, che è spesso ritenuto un mondo in cui la libertà di certi incontri rende la vita di coppia più facile. E' giusto che non si siano tenute nascoste queste problematiche, che poi sono problematiche anche eterosessuali: e non per un bisogno di assoluzione, quanto per raccontare pregi e difetti di un mondo che forse dall'esterno è ancora percepito come leggero.

Perché proprio il personaggio di Mara, che è l'unico ad essere sempre stato onesto, alla fine è quello che rimane più insoddisfatto?
Elisa Di Eusanio: Quella di ricercare la donna perfetta è una caratteristica comune a tantissime butch, che poi si ritrovano scaricate per un uomo, e rimangono quindi deluse. Mara è talmente rabbiosa ed esposta che non sa usare nessun filtro, e quando dai tutta te stessa si sa che le cose possono finire male: d'altra parte, in amore vince chi fugge.

Come avete costruito la scena della festa in maschera?
Riccardo Pechini: Tutta la scena ha una valenza surreale, i personaggi mostrano la loro "doppia pelle", in cui si sono insinuate, per poi essere covate, tutte le loro difficoltà e sofferenze. Per loro è come una catarsi: poter convogliare il non detto, poter essere, come fa notare Mara, finalmente sinceri.