Recensione La Città Di Dio - City Of God (2002)

Crudo e impietoso ritratto della guerra tra gang rivali nella favela più violenta di Rio de Janeiro, a pochi chilometri dalle immense spiagge da cartolina...

Fotografie dall'inferno

Il regista Fernando Meirelles sceglie di raccontarci la violenza di Rio de Janeiro attraverso lo sconvolgente e spietato resoconto dei regolamenti tra bande rivali, che si sono sanguinosamente succedute dagli anni '60 agli anni '80. I fatti, basati sulle innumerevoli storie vere che le favelas racchiudono, sono narrati dagli occhi e dalla voce del giovane Buscapè, Alexandre Rodrigues, testimone e spettatore di un sotto-mondo che brulica di droga, armi ed odio. Buscapè ha talento e voglia di emergere dai bassifondi in cui si trova a vivere; coltiva il sogno di diventare fotografo, ma si scontra con la dura realtà di emarginazione e miseria che respira quotidianamente. Lo sguardo onesto ed innocuo del timido Buscapè vede ogni giorno morire amici e vicini che hanno scelto di crescere con il mito del bandito. L'aspirazione dei giovanissimi criminali è quella del controllo della Città di Dio, quella del giovanissimo Buscapè è invece di avere controllo sulla propria vita. Da una parte c'è la scelta di essere attori, dall'altra di esser spettatori di quella tremenda storia che ha come teatro la favela più temuta di Rio.

Il regista sceglie di coniugare elementi di spettacolarità hollywoodiana con la tradizione neorealistica del Cinema Novo brasiliano creando un opera originale ed autentica. Gli attori sono presi dall'ambiente del teatro amatoriale, e ad ognuno di loro è stato chiesto d'interpretare personaggi arricchiti dal proprio vissuto e dalle proprie esperienze. La struttura narrativa è un complesso gioco ad incastri che mostra come tutto sia collegato, e come tutto, alla fine, ritorni. Questa drammatica circolarità di volti e storie vuol forse simboleggiare l'ineluttabilità del destino che lega con catene i personaggi ai luoghi da cui provengono. A chi nasce nella Città di Dio non è dato di vivere un'infanzia serena. I bambini si odiano come gli adulti, e al posto dei giochi impugnano pistole. Buscapè decide invece di maneggiare un'altra arma, la macchina fotografica. Con la sua passione e la sua purezza, diviene l'eccezione, sfuggendo all'amara carriera che il destino riserva a tutti i maledetti, fottuti abitanti della Città di Dio. Capisce che la vita può esistere solo al di fuori di quel covo di odio e terrore. Non a caso la prima esperienza sessuale, dopo vari tentativi falliti, così come la prima vera occasione di riscatto, si realizzano in un ambiente esterno alla favela.

Gli occhi di Buscapè che scrutano quel girone infernale dietro l'obiettivo fotografico, sono gli stessi occhi del regista che racconta una realtà dietro un altro obiettivo, quello della macchina da presa. Buscapè rappresenta la verità che, tremolante, cerca di farsi strada proprio là dove è più cruda e spaventosa. A venti chilometri dal paradiso, come recita il trailer, Meirelles ci mostra l'inferno, spinto dall'esigenza d'informarci; allarmanti come le sue immagini, sono le sue parole: "In Brasile muoiono 17.000 bambini all'anno con colpi di arma da fuoco...è una guerra, più che in Palestina".