Recensione Cyrus (2010)

A differenza di molti film indipendenti, Cyrus non gira mai a vuoto grazie soprattutto allo straordinario talento degli interpreti capaci di guardarsi dentro con onestà per dar vita a personaggi ricchi di umanità e spessore.

Di mamma ce n'è una sola

Se Cyrus fosse stato realizzato da un regista italiano sarebbe l'ennesima variazione sul tema 'E non se ne vogliono andare'. In un paese, come il nostro, di trentenni e quarantenni precari senza alcuna prospettiva di futura solidità, il parcheggio nella dimora familiare sembra essere ormai diventata la regola. Se però a trattare la stessa materia sono gli americani Jay e Mark Duplass allora la pellicola diventa un esotico ed improbabile divertissement.
In Cyrus, il grandissimo John C. Reilly interpreta un quarantacinquenne divorziato depresso e infantile. Sfortuna o fortuna vuole che alla festa di fidanzamento dell'ex moglie (Catherine Keener, altra icona del cinema indie) si imbatta in Molly (la splendida Marisa Tomei), una donna che comprende al volo il suo umorismo sopra le righe. Forse perché a casa la attende un figlio ormai adulto, ma ancor più infantile. Film d'attori e di situazioni, Cyrus sfodera il repertorio del miglior cinema indipendente americano. I fratelli Duplass mettono la macchina da presa al servizio dei loro interpreti, in particolare di Reilly, lasciando loro massima libertà di improvvisazione. La sensazione che ne deriva è quella di vedere un film che prende vita e si evolve in tempo reale, davanti ai nostri occhi, in nevrotico e costante mutamento.


Il rischio corso da molte pellicole indie è quello di abusare della libertà che la modalità filmica con cui vengono girate permette loro, valutando presuntuosamente di poter rinunciare a una solida struttura narrativa. Negli ultimi anni ci è capitato spesso di incappare in film che cadono nella trappola, facendo largo uso del non detto con fini artistici col solo risultato di infondere nello spettatore la sensazione di girare a vuoto, senza una vera e propria meta narrativa. Con Cyrus ciò non accade mai, grazie soprattutto allo straordinario talento degli interpreti capaci di guardarsi dentro con onestà per dar vita a personaggi ricchi di umanità e spessore. A colmare i vuoti della narrazione, in questo caso, sono l'emotività dei caratteri, le loro sorprendenti reazioni, i loro difetti e le loro eccentricità. Su tutti spicca John C. Reilly, pedina fondante della pellicola, attore capace di cucirsi talmente bene addosso il protagonista della storia da innescare un perverso meccanismo di identificazione. Cyrus è una sua creatura, quanto dei Duplass - che il film lo hanno scritto e diretto - e forse anche di più e la sua alchimia con la vitale Molly/Marisa Tomei è uno dei punti di forza del lavoro.

Nel triangolo edipico non manca l'elemento di rottura, rappresentato in questo caso da un bravissimo Jonah Hill. Il suo paffuto Cyrus è a dir poco inquietante, capace di mettere in imbarazzo sè stesso e chi gli sta intorno solo per accaparrarsi l'affetto totalizzante della madre. Non anticipiamo le sue mosse per non rovinare la visione del film, ma possiamo affermare con certezza che la sua lotta per controllare la vita privata della povera Molly lo rende un figliastro decisamente poco desiderabile da acquisire.
Un plauso ai fratelli Duplass, capaci di gestire queste individualità disfunzionali equilibrando saggiamente incontri e scontri, colpi di fulmine e relazioni malsane in un mix di dramma e commedia nera che si rivela vincente e capace di toccare in profondità lo spettatore.

Movieplayer.it

3.0/5