Recensione Beetlejuice - Spiritello porcello (1988)

Tim Burton ci mostra la sua bizzarra visione dell'aldilà in un film folle e geniale

Delirio infernale

Beetlejuice - spiritello porcello è uno dei primi film della carriera di Tim Burton. Sebbene scegliere tra i suoi lavori sia operazione difficile e complessa, possiamo dire che sia anche uno dei migliori.
A voler essere più precisi, Beetlejuice è uno dei film più completi di Burton, nel senso che contiene già tutti gli elementi che faranno di lui un regista tra i più particolari e unici tra i contemporanei e che sarebbero stati poi sviluppati ampiamente con i lavori successivi.

Che Burton sia un ex disegnatore, è chiaro fin da subito: le sue inquadrature, i colori, i personaggi e ogni aspetto del suo lavoro portano il marchio di un artista del disegno. Inoltre la sua follia visionaria è talmente straripante da riversarsi in ogni sequenza.
Il film si apre con una panoramica del paese in cui la storia è ambientata, che si rivela poi il plastico a cui il protagonista sta lavorando, primo segnale della fusione (o confusione) tra realtà e finzione che troveremo, sia qui che in quasi tutti i film successivi dell'autore.

Beetlejuice è una miscela di atmosfere gotiche e surreali, ma allo stesso tempo ironiche ed eccessive, tanto da suscitare raramente inquietudine e deviare sempre verso la commedia, nonostante la potenzialità horror della storia. Infatti, a pensarci, l'idea dei fantasmi intrappolati nella loro casa, costretti a spaventare e cacciare via i nuovi inquilini, sarebbe potuto diventare un horror in mani diverse e con una sceneggiatura diversa.
Ovviamente Burton la affronta secondo le sue inclinazioni, si procura una sceneggiatura adatta a sfruttare il suo talento visionario (sebbene non accreditato, il soggetto dovrebbe essere anche suo) e a sua volta ne sfrutta tutte le potenzialità nel trasformarla in film.

L'ironia la fa da padrone e pervade tutte le scene di Beetlejuice, dalla splendida e delirante visione dell'aldilà in Burton Style, con il Manuale del novello deceduto e i pittoreschi deceduti in sala d'attesa, al bellissimo contrasto tra la piccola dark Lydia e la sua famiglia mondana. Il tutto culminante nella meravigliosa sequenza della cena al ritmo di Day-O di Harry Bellafonte, che da sola varrebbe il film e un oscar.
L'aldilà di Burton è un luogo infarcito di personaggi bizzarri, macabri quanto buffi, governato da una burocrazia paragonabile a quella dei nostri uffici comunali, con tanto di sala d'attesa, pratiche da affrontare e trafile da seguire.
A concretizzare la visione ironica, nonché onirica, di Burton, troviamo uno splendido e folle Michael Keaton irriconoscibile sotto un trucco che ha valso un oscar al film, assolutamente esplosivo e incontenibile, perfetto nel suo delirio e nella sua interpretazione dell'esorcista di umani, denso di una cattiveria da fumetto che solo Burton poteva portare sullo schermo con tanta efficacia, senza scadere nel volgare nonostante gli eccessi del personaggio.
Ma non sono da meno neanche gli altri caratteristi del film, da Catherine O'Hara e Jeffrey Jones, che dipingono alla perfezione i Deitz, la coppia che prende possesso della casa dei Mailands alla loro morte, a Wynona Ryder, anche lei del tutto a suo agio ed equilibrata nell'ironico ruolo della ragazzina dark e depressa, che l'ha fatta conoscere al grande pubblico, oltre a renderla attrice cult per tutta una generazione di spettatori.
Efficaci anche i due sposini-fantasmi protagonisti del film: Alec Baldwin e Geena Davis, in equilibrio tra romanticismo da coppietta e lo smarrimento della loro condizione di fantasmi inesperti.

Buoni anche gli effetti, considerando i costi contenuti dell'intero film, soprattutto il bellissimo trucco ad opera di Steve LaPorte e Ve Neill, vincitore di un premio oscar, come già accennato.
La musica è di Danny Elfman, come per quasi tutti i lavori di Burton successivi, evocativa e tinta di spettrale euforia, del tutto adatta alla regia ed alla storia.

Il lieto fine del film arriva dopo un susseguirsi di trovate di grande vivacità, lasciando il ricordo di un film frizzante, piacevole e del tutto godibile, condito da una freschezza narrativa che il Burton successivo perderà in parte a favore di temi e tempi più ragionati e maturi.
Volendo a tutti i costi trovare difetti in Beetlejuice, possiamo dire che forse Burton ha messo troppo in un unico film, spinto dalla voglia del quasi esordiente. Questo non ha reso meno bello il film, ma gli ha impedito di dare il giusto risalto alle scene migliori e di rendere il lavoro finale del tutto bilanciato.

Movieplayer.it

4.0/5